Valorchives

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  1. dany the writer
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    Verona, Imperium dell'Uomo

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    Capitolo I-H
    Hahàva Voini’ìl




    +++Segmentvm Obscvrvs
    Hera-Amiir Sector
    Espansione di Zaqqurava
    Sistema Stellare di Hervara

    Hervara IV-B, Mondo-Civilizzato
    Continente di Invyyere

    Portal Danòrra, 201 chilometri SO da Negemyn
    M42.Y022+++


    Aurelios era scomparso all’interno del Samaritan degli Zevona. Qualsiasi cosa stesse confabulando con le Sorelle laggiù, doveva darsi una mossa; restare troppo a lungo allo scoperto, inchiodati davanti all’ingresso della subalterna, offriva al nemico un bersaglio goloso.
    L’eco di una raffica di mitragliatrice ruzzolò fin alle sue orecchie. Dalla cima della discesa era complicato vedere in dettaglio la subordinata, anche per via dei fumogeni, ma il loro Hypaspista stava arretrando, lasciando al Gladian la guida dell’attacco.
    Hahàva scrutò il blindato medico per la settima volta in un minuto, strizzando gli occhi nell’attesa che Aurelios uscisse dal portellone.
    Dovevano togliersi da lì, per la Svper Sacra Terra. Ma ancora nessun movimento, salvo il guardarsi attorno del mitragliere stazionato in cima alla torretta del Samaritan.
    Lui era un commilitone vero e proprio, con indosso l’anti-schegge e la mimetica vecchio stile, in toni sabbia calda e azzurro chiaro, della Guardia della Legittima Superba. Un dettaglio difensivo assegnato all’equipaggio medico, forse prelevato da qualche unità in esubero di personale.
    Hahàva non lo invidiava affatto; tra il suo Samaritan e il loro Hypaspista, quale mezzo fosse il più fragile era proprio una bella gara.
    Dalla subalterna provenne un rullio di tamburi meccanici, al quale seguì un lagnoso tempestare di cingoli in moto. Voltandosi a guardare la strada, Hahàva individuò il loro Hypaspista mentre usciva, procedendo in retromarcia, da un braccio di schermo fumogeno. La squadra ne tallonava la poppa, tenendosi al passo e coprendone il tattico riposizionamento con brevi raffiche.
    Il Gladian, invece, era andato più avanti. Sentiva il contiguo borbottio del suo motore, ma senza visuale termica non poteva vederlo in mezzo al fumo. Si era succeduto allo Hypaspista nel fare da testa all’attacco, rovesciando due scariche di auto-cannoncino sulla Casa del Popolo.
    Ora faceva tacere quel pezzo d’artiglieria, ripiegando sulla brandeggiabile per fare fuoco di copertura allo Hypaspista.
    Da qualche parte, in alto sopra alle case, c’era il drone di Zhì.
    Inclinato il proprio Merovech, Hahàva vi gettò gli occhi sopra. La spia informativa della cella energetica principale era ancora azzurra; il display montato in cima alla cassa registrava ancora una capacità per cinquanta colpi esplosi a media potenza. Ticchettò sul tastino laterale, passando alla visualizzazione se avesse usato la massima carica possibile per ogni sparo.
    Sullo schermo apparve un venti.
    Riportò il display sulla media intensità, passando a verificare quanto stabile fosse l’innesto della cella primaria nel vano caricatore. I Merovech avevano il difetto di surriscaldarsi presto se li si usava in fuoco automatico continuato, e il calore dilatava i fianchi dell’innesto. La cella poteva cadere a terra, il che non era molto salutare nel mezzo di uno scontro a fuoco. Provò a smuoverla, tirando avanti e indietro e tenendo l’indice a lato della scocca di tiro.
    L’attacco era saldo.
    «Cazzo, sorella, è un Merovech?» esordì uno dei Gladius del Chimera. Balzò giù dalla fiancata, accucciandosi alla sua destra. Dalla voce e dal viso, era più o meno della sua età. Hahàva gli annuì e torse l’arma all’esterno, così che lui potesse guardarla meglio.
    «Phay’» fischiettò lui, aguzzando la vista sull’arma. «Ma gli hai tolto una canna?»
    Rimbombi in lontananza percorsero il cielo, scuotendolo come un sacco da pugilato. Il supporto navale aveva ripreso a scambiarsi colpi con lo schermo Severan.
    Hahàva aggrottò la fronte. «No. Ne ha una sola.»
    «Ti giuro, io credevo che ne avesse due...»
    Due canne? Rilassando la propria espressione, Hahàva scosse il capo: «No, phrà. No, no. Quello che dici tu è il Tintagel e ce l’hanno i Jentala.»
    Il soldato gladiano si diede una botta sulla calotta frontale dell’elmetto. Il colpetto rintoccò per lo spiazzo davanti al gabbiotto, sordo e basso. «Ah, sì!», disse, prima di guardarsi attorno con il calcio del suo las-fucile piantato sotto l’ascella. «Il Tintagel.»
    «Vai tranquillo.»
    «Oh, come funziona la doppia cella?»
    Aurelios era ancora nel Samaritan. Cosa stava facendo per metterci così tanto? «Spari della principale e quando la scarichi, passa da solo alla secondaria. Ma se vuoi, o ti serve, puoi fare il cambio da te.»
    Gli mostrò un piccolo pulsante, vicino al selettore del display. Per fargli capire la questione, lo schiacciò e sullo schermo il conteggio dei colpi passò all’istante a sessantasei. Una seconda pulsione lo riportò a cinquanta, riattivando la cella principale. «Visto?»
    «Bella roba.»
    Riallineò l’arma al proprio spallaccio, stando attenta a non toccare il grilletto. «Questo è il mio bambino. Butta giù un volume di fuoco che lo fa venire duro pure all’Imperatore, se ti serve.»
    Il gladiano fischiettò di nuovo. «Non farti sentire dal terrùcol o dalle Sorelle, eh.»
    Chi, il capitano incompetente o il personale medico che lui aveva lasciato allo scoperto nel bel mezzo del niente? «Um’nekhà!»
    Dalla subalterna risalì uno scambio di spari, calibri pesanti da mitragliatrice. Hahàva sbirciò la placca toracica del suo interlocutore, sulla quale stava scritto IGPC-KYL FAAR. «Ti chiami Kyl? Sul serio?»
    «Kayl», rise lui. «Ma i rincoglioniti a Fort Yuma hanno sbagliato a trascrivere.»
    Ah, adepti del Munitorum che non sapevano fare il minimo lavoro necessario! Una storia vecchia quanto la Svper Sacra Terra, davvero. Gli offrì una stretta d’avambraccio. «Be’, capita. Piacere di conoscerti. Hahàva Voini’ìl, Cento-Sessantaquattresimo EDT.»
    La presa del gladiano era ferrea e sicura di sé. «Kayl Fareth. Ventunesimo-Sedicesimo di Gladius. Oh, dici che si spiccia il tuo amico?»
    «Lo spero...»
    Kayl mugugnò sottovoce e scoccò un cenno al gabbiotto. Al di là del guardrail stradale si allungava un percorso alberato, una striscia taglia-vento, limitata due metri all’interno da una semplice recinzione. Sovrastava la subordinata, barricando l’ingresso a quello che poteva essere un frutteto così come un parco ricreativo. Quel che fosse, era un fianco che avrebbero dovuto coprire. Il capitano terrestre, però, non aveva mosso neanche una sentinella.
    Dannato incapace.
    «Ventunesimo-Sedicesimo?»
    A rispondere alla sua domanda fu un compagno di Kayl, accovacciato davanti all’infossatura del cannone automatico del loro Chimera. «Uh-uh. Siamo un’unità RIP.»
    «Una Riposa in Pace?», si sporse in avanti Ièn, per poi ridere tra sé e sé. I gladiani si unirono a lui, trovando la sua squallida battuta più divertente di quel che era. «Scusate, era troppo bella.»
    «Da morire, guarda!», s’introdusse un terzo gladiano. Sbarcò dal Chimera, prendendo il fianco interno e abbassando il proprio las-lungo di precisione. Arrotolato sul suo spallaccio sinistro c’era un mantello mimetico, stretto in un rotolo dal rigore d’ un paio di cinture, dalle quali pendevano altrettanti corti, fitti sigilli di valore. «Siamo due reggimenti mischiati in uno solo: Ventunesimo Reggimento Corazzato di Gladius, Sedicesimo Truppe d’Urto di Fort Yuma.»
    «Uh-ah!», esclamò il tenente Garro e i suoi uomini gli fecero subito eco. Si sarebbe unita a loro, gli piaceva quel senso di cameratismo, ma appropriarsi dei motti degli altri reggimenti senza il permesso degli stessi poteva essere molto grave. Era una questione di rispetto, e poi ai gladiani si diceva che piacessero i duelli d’onore.
    Kayl occhieggiò ai suoi due amici, sia quello sullo scafo che il tiratore appena sceso giù. «Lui è Timmy, mentre questo coglione con il mantello che si crede un Helldiver è Alksot.»
    Timmy?!
    «Fottiti, Kayl.»
    «Con tua sorella, spero.»
    Alksot scrollò le spalle con simpatica noncuranza. «Vai pure! Ne ho sei, prendi quella che vuoi.»
    «Sei?» gli chiese per essere sicura d’aver sentito bene. «E sei l’unico maschio?»
    Il tiratore le rispose con un cenno d’assenso. «Yupah.»
    La sua vita a Gladius doveva essere stata terribile. «Chyz, phrà. Ce ne hai messo di tempo a voler uscire fuori dai geni di famiglia, ey?»
    «Non dargli troppo addosso», mormorò Kayl. «Sua madre voleva assolutamente la medaglia d’onore come Generatrix Imperialixima.»
    «E l’ha presa!», sghignazzò il gladiano, battendosi il pugno sul torace nella parodia di un saluto militare rigoroso e serio. «Due volte!»
    Hahàva vide Kayl occhieggiare al veicolo dei terrestri. «Allora, Selma? Che ne dici?»
    «Pensavo che fosse Veelma quello che te lo tirava su.»
    «Ah, sì, lei! Beh, anche Selma…»
    Timmy batté il piede sullo scafo. «Selma è già mia, stronzo. Me l’ha promessa.»
    Il tiratore scelto si dedicò alla lente del suo las-lungo, pulendola con la manica dell’uniforme. «Ah, sì. Beh, ve le potete scambiare tra di voi!»
    «Se ne hai una anche per me», commentò Ièn da presso il gabbiotto, «sappi che accetto volentieri.»
    «Te ne propongo due.»
    «Due?!»
    Alksot ribadì il numero. «Sì, è quello che ho detto. Buone donne, eh! Non ti sto offrendo mica delle racchie. Leali al Trono, oneste ausiliarie! Oligarchici, imperialissimi fianchi per fare imperialissimi figli come un Manifactorvm.»
    Ièn abbassò il capo, continuando a ridere tra sé e sé. «Ma così non mi costano due doti?»
    «Sì ma, tipo...», Alksot gli si avvicinò, mettendogli una mano sullo spallaccio. «Bruh, è un investimento. Tu mi cacci fuori due doti, le fai spawnare quattro o sei nuovi stronzetti e Gladius ci paga un vitalizio per aver dato alla Causa nuovi figli. Ci stai?»
    «Se la metti così, mi sa di affare...»
    Libri si stava divertendo troppo, era il caso di abbatterlo prima che decollasse: «Non vuoi i suoi geni in famiglia, amico. Ièn, qui, è un piccolo stronzetto socialista.»
    I gladiani s’irrigidirono. Il primo a prendere la parola fu proprio il tiratore scelto, che abbassò la testa per essere praticamente a portata di bisbiglio con Ièn. «Sta dicendo il vero?»
    «No!»
    «Sei come uno di quegli eretici simpatizzanti per gli Automatons?»
    «Ma col cazzo, proprio!», s’inalberò Ièn, alzando la testa per scoccarle un cenno. «È lei che è una stronza e non sa leggere.»
    Hahàva scrollò le spalle. «È sempre un piacere rovinarti la giornata, Ièn.»
    «Vai a farti fottere.»
    «Di sicuro non da te.»
    «E chi cazzo ti vuole?», sogghignò lui dietro l’elmetto, prima di riavvicinarsi al gladiano di nome Alksot. «Oh, fammi vedere queste due sorelle che dici.»
    Timmy prese la parola: «Eh, no. Ora dobbiamo assicurarci che tu non sia un simpatizzante degli Automatons di merda, o qualche altro tipo di socialista perverso.» Da come l’aveva detto, c’era una misura di serietà ma lo stava anche prendendo in giro.
    Libri indietreggiò, come offeso. «Sono un genuino patriota dell’Imperivm.»
    «Credi con tutto il tuo cuore nell’Imperiale, libero, prospero e oligarchicamente-controllato stile di vita dell’Imperivm?!»
    Alzò il braccio flesso verso di sé, come a salutare l’alzabandiera imperiale. «Cazzo, sì!»
    Timmy spinse il petto in fuori: «Credi con tutto il tuo cuore nella Libertà, nella Gloria Imperiale e nella Democratica, Assoluta, Divina e Incontestabile Autorità dell’Imperatore-Dio?!»
    Ièn scosse il pugno. «Eyhà!»
    «E cosa dici degli Automatons?!»
    «Anti-imperiali, anti-democratici, atei...», prese fiato prima di continuare. «Eretici, stregoni, anti-oligarchici anarchici. Devono morire tutti e l’hanno cominciata loro, come questi separatisti.»
    Alksot gli offrì una stretta d’avambraccio, che Ièn ricambiò subito. «OK, Elysia. Per me sei pulito. Ti puoi fottere le mie sorelle. Ma voglio quei quattro-sei stronzetti, che i soldi sono buoni.»
    «Te ne faccio anche otto.»
    «Andata!»
    Libri tornò alla sua posizione, accovacciato e con l’arma pressata contro lo spallaccio. «Lo amo fottutamente tanto questo Imperivm.»
    «Uh-ah!», gli risposero in coro i gladiani.
    Aurelios emerse dal portellone di poppa del Samaritan. Controllò l’area attorno a sé, prima di muovere nella loro direzione. Si tenne basso, con l’Accatran tenuto per l’astina e in condizione di sicurezza. Li raggiunse e sganciò l’elmetto dalla cintura.
    «Bene, ients.» La sua voce era soddisfatta. «La costa è libera.»
    Alksot s’inalberò con la testa: «Uh, sarge? Cos’è una costa?»
    Sul serio? «Dove la terra incontra il mare.»
    Il tiratore scelto gladiano le rivolse un cenno: «Ah, chiaro.»
    Decidendo di non indagare oltre, Hahàva si volse verso Ièn. Libri fu rapido nell’affiancarla, portandosi tra lei e il sergente. Quest’ultimo si rimise l’elmetto e abbassò il visore, la cui lente si polarizzò nel corso di qualche secondo.
    «Allora?» esordì il sottotenente Garro. «Come procediamo?»
    «Posso prendere con me un paio dei suoi, signore?»
    «Timmy? Kayl?»
    I due gladiani così nominati si portarono subito alle spalle di Aurelios, accompagnati nel loro muoversi dai sussulti e dagli sbuffi del loro equipaggiamento. Sullo spallaccio del secondo, vide Hahàva, campeggiava una piccola decalcomania decorativa, racchiusa dentro gli allori spinati della Guardia Imperiale del Sector di Gladius.
    Piegandosi in avanti dalla sua coffa, il sottufficiale Garro abbassò il proprio tono di voce: «Andate con il sergente dal terrùcol e dategli corda, qualsiasi stronzata dica.»
    Come loro annuirono, Hahàva aprì la bocca per dire qualcosa. Si fermò prima, optando per evitare. Era quello il loro piano? Rifilare una secchiata di stupidaggini al terrestre e sperare che se le bevesse tutte? Poteva funzionare, ma…
    «Lo togliamo di mezzo e ci spostiamo da qui, intesi?», spiegò Aurelios. «Non tiriamo su qualcosa che attiri i Giacconi. Appena è fuori gioco, facciamo spostare il Samaritan e...»
    «Ma voi sentite un fischio?», s’inserì Alksot, scoccando un cenno al cielo sopra di loro. «Oppure sono io che...»
    Il colpo cadde quindici metri troppo esterno, picchiando sull’asfalto con un grido finale e acuto. Lo scoppio sprizzò in alto un corto, basso geyser di fuoco e polvere d’asfalto. Al suo arrivo, Hahàva si schiacciò sul manto stradale, portando il braccio destro sopra al proprio elmetto. Le schegge le sibilarono sopra, sbattendo contro lo scafo del Chimera gladiano.
    La pioggerellina perdurò un paio di secondi, acquietandosi in mezzo ai borbottii dei mezzi e alle chiamate tra le truppe sorprese dal colpo. Riavendosi sui gomiti e sulle ginocchia, Hahàva riguadagnò l’impugnatura del suo Merovech-Pattern, scuotendo la testa per liberarsi del fischio che le martellava i timpani.
    «Non allertatevi troppo!», gridò il capitano terrestre dal suo Toxotoì. Stringendo gli occhi sulla sua figura, Hahàva sentì il nitido desiderio di aprirgli una cerniera toracica con una raffica a bruciapelo. «È stato un colpo casuale e senza mira.»
    Ièn si girò verso di lei, offrendole una vista della sua visiera abbassata e già scurita. «Ma questo idiota fa sul serio?!»
    Un secondo fischio volò sopra alle loro teste, finendo a sbattere nella corsia d’andata della Provincialii. Più distante, il suo scoppio non produsse né feriti né vittime. Gli shrapnel continuarono a cadere, rintoccando contro il tarmac, per un paio di attimi prima d’esaurirsi.
    «Io l’ammazzo...»
    «Sergente!», tuonò il terrestre. «Posso avere un aggiornamento sul controllo che ha richiesto? Ci sta facendo rimanere fermi.»
    Aurelios strabuzzò gli occhi.
    «Allora? Vorrei una risposta, di grazia!»
    «Hah?», le disse lui.
    Non le serviva sapere altro. Spingendosi sul dorso della schiena, appoggiandosi allo scafo del Chimera, Hahàva disinnescò la sicura del Merovech. Gli rivolse un pollice alzato per comunicargli che l’arma, ora, era pronta e in grado di sparare e lui s’alzò.
    Lo seguì al Toxotoì, facendo un breve scatto per stare dietro alle sue falcate. S’inginocchiarono presso la cintura cingolata destra e Aurelios le segnò un angolo retto che andava da loro alla recinzione. I colpi di mortaio erano venuti da lì.
    «Sergente, non è esattamente ottimale che un ufficiale si muova così curvo», riprese il capitano, alzando una mano in segno d’esasperazione. «Dà una pessima immagine alle truppe!»
    Schiacciata una mano sulla gonna della cintura cingolata, Aurelios s’issò sullo scafo e con un colpo di reni s’aggrappò ad una maniglia di sostegno che sporgeva dalla torretta. La lasciò alla sinistra, liberando la destra per qualsiasi cosa avesse intenzione di fare, e poi infilò il piede sopra ad un secondo sostegno per portarsi faccia a faccia con il terrestre.
    «Signore, ci stanno colpendo con un mortaio!»
    Il capitano sbuffò. «Colpi imprecisi e casuali. Non sanno dove siamo.»
    Il quarto ordigno cadde molto, molto più vicino dei suoi predecessori. Deflagrò all’impatto con la strada, non più di dieci metri sulla loro sinistra verso la corsia d’andata e l’urlo delle sue schegge scavalcò le grida e gli avvisi dei soldati inchiodati presso la discesa.
    Il terrestre schioccò la lingua. «Forse hanno una vaga idea, ma non cambia il nostro piano d’attacco. Se ha finito, procediamo come ho stabilito poc’anzi.»
    Hahàva alzò la testa. «Signore, lei è un co...»
    «Soldato, sto parlando con il suo sottufficiale!», sbottò lui. «Abbia rispetto, per la Sacrosanta Super Terra. Non siamo certo degli aurelici, qui! O degli Irlaviani. Loro sì che sono indisciplinati, malnati, rozzi campagnoli buoni a nulla e probabilmente...»
    «Signore, un’ape!» E come esclamò quelle tre parole, Aurelios gli sferrò un gancio destro sulla faccia. Il colpo gli impattò sul viso con la forza di un camion, strappandogli un paio di denti e spedendo l’ufficiale terrestre a sbattere con violenza contro il bordo inferiore della torretta. Da lì ricadde bocconi in avanti, gli occhi rovesciati e un rivolo di sangue che gli scorreva giù dalla faccia.
    «Elysia, l’hai ucciso?» urlò il tenente Garro.
    Aurelios controllò il respiro del capitano, poi lo spinse giù dalla coffa con un colpetto del palmo. «Nah! È solo svenuto.»
    «Peccato!»
    Già.
    Con un bel colpo di reni, Aurelios saltò giù dal Toxotoì e si piegò sulle ginocchia. Lasciò il suo Accatran alla sinistra, disegnando con l’indice destro un cerchio sopra alla propria testa. Il Samaritan non perse nemmeno un secondo e riaccese i motori a pieno regime, avviandosi in retromarcia per portarsi il più lontano possibile dalla discesa.
    Dal fondo della recinzione sopraggiunsero dei dardi cremisi, non fitti ma di secondo in secondo più stretti e precisi nel cercare di colpirli. Una manciata di proiettili esplosero contro la fiancata del Chimera dei Gladius, sprizzando scintille cremisi a mezz’aria.
    «Tenente!», esclamò Aurelios scattando nella sua direzione. Hahàva lo seguì a ruota, aguzzando lo sguardo alla recinzione e gli alberi al di là. Il fuoco di soppressione, se così poteva essere chiamato, veniva da lì. Una squadra di tiratori, forse?
    Garro non perse nemmeno un solo secondo. «Ci muoviamo!»
    Con un tuonante borbottio, il Chimera arretrò di tre metri e girò sul proprio asse, rivolgendo la propria prua alla recinzione sulla destra, avanti in laterale rispetto alla discesa per la subordinata dove il Gladian e lo Hypaspista erano all’opera.
    Sia il suo Requiem montato in punta di scafo che la brandeggiabile in cima alla torretta presero vita con un doppio tuono metallico, esplodendo una doppia, intensa raffica all’indirizzo del bosco oltre stante la recinzione.
    La las-fucileria scemò in meno di un secondo sotto quel martellio di calibri pesanti. Grida e avvertimenti fioccarono tra gli alberi, distinti da un chiaro accento Severan.
    Ripresero a sparare alcuni attimi dopo. Ora, osservò Hahàva, la loro risposta allo sbarramento delle mitragliatrici era più sparuta e intervallata. I colpi non venivano più sempre dagli stessi punti, nascosti in mezzo agli alberi da frutto, ma si muovevano su e giù lungo l’orizzonte della linea taglia-vento. I tiratori, dunque, stavano cercando di non offrire alle loro mitragliatrici un bersaglio facile.
    Sobbalzando in avanti, il Chimera abbatté la recinzione. La sua trama a maglia finì divorata dal ritmo rullante dei cingoli, crollando all’indietro e appiattendosi sotto al peso del mezzo. Rilasciata una seconda scarica di sbarramento con il Requiem pesante, il veicolo arretrò, ma senza girare sul proprio asse.
    La prua era la parte più resistente, offrire la poppa al nemico sarebbe stata una stupidaggine.
    Un tonfo metallico annunciò il riemergere del tenente. Hahàva gli offrì un cenno con il pollice e lui rispose tirando i grilletti della brandeggiabile; descrisse due brevi tiri a ventaglio nella boscaglia, mirando ad altezza d’uomo.
    Alcuni degli alberi, non meno d’una dozzina, presero a stormire sotto quella fiumana di proiettili. Il crepitio delle fiamme salì da basso, schioccando in sottofondo alla lagna dei cingoli.
    «Ora è lei in comando, tenente!», gli disse Aurelios. Garro sbuffò tutto soddisfatto e riprese a fare fuoco di soppressione.
    «Ottimo! Facciamo arretrare quel cazzo di Samaritan e snidiamo questi bastardi.»
    «Così mi piace!» disse Hahàva. Al termine di un breve scatto, incontro ai punti d’origine della fucileria laser, l’assaltatrice si gettò in avanti a terra, strisciando sopra alla recinzione abbattuta. Adottò il tronco d’un albero come riparo, addossandocisi con lo zaino tattico.
    Ièn l’affiancò un momento dopo, dardeggiando a sinistra per prendere un riparo più defilato.
    «Lieto che apprezzi le maniere di Gladius, paras!»
    Sorse spontaneo e di gruppo, da lei come da Ièn e da Aurelios. Da tre Elysiani, piuttosto che dai soldati meccanizzati del Chimera, che nel frattempo stavano offrendo loro un buon fuoco di copertura. «Toste e veloci!»
    I gladiani dovettero proprio apprezzarlo, considerando come risposero.
    «Uh-ah!»
    Cessando il fuoco, Garro ordinò al guidatore di procedere in retromarcia ancora un po’. Borbottando, il Chimera si portò a sei metri dal foro nella recinzione, poi riprese a coprirli, alternando la mitragliatrice brandeggiabile al fuoco del pesante Requiem di prua.
    Alksot, Kayl e Timmy sopraggiunsero al principio della boscaglia, tutti rapidi nel gettarsi sull’erba e tra i rami per non offrire al nemico bersagli facili. Innescato il lanciagranate sotto la canna del suo Merovech, Hahàva tirò il detonatore, incassando il rinculo contro lo spallaccio. Venti metri più avanti, una breve nube di fuoco e polveri nacque e s’espanse sopra a delle grida.
    Un ruzzolare colse la sua attenzione, portandola a sporgersi verso destra. Si ritrasse di colpo, allungando la mano fare da barriera a quel che stava arrivando. Rimbalzando ora dalla canna e ora dal calcio, un las-fucile Kantrael piroettò fin da lei, finendo nella sua presa.
    Sulla cassa c’era lo stemma del Severan Dominate.
    «Oooh, grazie!», rise lei all’indirizzo dei separatisti. «Ma davvero! Grazie mille, rincoglioniti!»
     
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15 replies since 3/2/2024, 14:46   1953 views
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