Valorchives

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  1. dany the writer
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    Verona, Imperium dell'Uomo

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    Capitolo I-E
    Aurelios Markhairena




    +++Segmentvm Obscvrvs
    Hera-Amiir Sector

    Espansione di Zaqqurava
    Sistema Stellare di Hervara

    Hervara IV-B, Mondo-Civilizzato
    Continente di Invyyere

    Portal Danòrra, 201 chilometri SO da Negemyn
    M42.Y022+++


    «A che stai pensando?»
    Alla domanda di Sirio, Aurelios schioccò la lingua. Tirò indietro la gamba, strisciando la suola dello stivale contro la ruvida corazzatura dello scafo. Dovette allungare una mano per impedire al suo zaino di rotolare giù, bloccandolo di peso contro una placca reattiva. «Che ‘sto scherzo era per farci perdere tempo.»
    «Sì.»
    I civili erano stati chiusi in quel cunicolo quel mattino stesso, se non prima dell’albeggiare. Non avevano visto deiezioni sul pavimento, scoperte o coperte che fossero, né macchie d’urina sulle pareti. Quei poveri disgraziati non erano stati rinchiusi abbastanza a lungo.
    Nemmeno il vecchio. Stempiato, stretto in un cappotto grigio e con le spalle curve; per quel che ne sapeva, avrebbe potuto passare per suo padre, o suo nonno.
    «Abbiamo preso la decisione giusta», aggiunse Sirio inforcando l’Accatran sotto l’ascella. Con l’altra mano, riportò il passamontagna a coprirgli le labbra. «E se c’è costata il raggiungerli, phrà, allora li prenderemo un'altra volta.»
    «Sicuro.»
    Aurelios sistemò il proprio Accatran a tracolla e allungò le mani all’ampia tasca a ragnatela destra dei suoi calzoni mimetici. Ne alzò il lembo protettivo e strinse la cerniera zip, tirandola giù con un colpo secco. Ne trasse una cella energetica nuova e la fece rimbalzare sul palmo.
    La spia d’avviso era smeraldina, piena e brillante. Una classica C-B Accatran-Pattern da 19 Megathule, con una capacità di sessantacinque colpi a media intensità. Scoperchiò una delle giberne appesa alla cintura e ne trasse un’identica cella la cui spia, però, ammiccava d’arancione sbiadito.
    Inserì la cella fresca nella giberna.
    «Jason!»
    Il capocarro non mancò la presa; prese al volo il caricatore ormai esausto e lo cestinò giù dalla sua cupola, avvisando prima di lanciarla.
    «In ricarica!», avvisò Yarat, il cannoniere del loro Hypaspista.
    Si erano lasciati il cavalcavia alle spalle già da una buona quindicina di minuti, continuando sulla larga corsia d’andata della Pronvincialii. Il servo-teschio di Zì ronzava in alto, setacciando la strada e il cielo, in cerca di possibili pericoli.
    I Severan, o i loro alleati, potevano aver nascosto altri ordigni lungo la strada, di luoghi utili ce ne erano tanti, tra i pioli delle recinzioni laterali e le auto-vetture che erano state abbandonate lungo la via.
    Con l’indice accostato alla scocca del grilletto, Aurelios trasse un mezzo respiro. Fermarsi a controllare ogni rottame sulla strada era impossibile, oltre che impraticabile. Già solo le macchine erano tantissime, ciascuna un possibile nido di esplosivi e OEI.
    Le operazioni di bonifica, poi, non spettavano a loro. Sarebbe toccata alla gente dei reggimenti di supporto, come quello terrestre che li aveva raggiunti al cavalcavia, con i loro artificieri, i tecno-preti e i vari gruppi sminatori.
    Aurelios si sporse in avanti, offrendogli un pollice alzato in segno di ringraziamento. Si volse alla sua squadra, abbarbicata sullo scafo; il messaggio fu chiaro, perché non persero tempo a spogliarsi delle loro celle usate, passandole una alla volta al capocarro.
    La catena durò alcuni attimi.
    Dall’apparato vox di Tiber risuonò un segnale di Via Libera. Lo seguì un breve fremito di statica.
    «Vang-Primvs, qui Valor-Com. Ricevete?»
    «Valor-Com, riceviamo in chiaro.»
    Aurelios si guardò attorno. Distanti cinguettii animavano le fronde degli alberi ai lati della strada. Pinete azzurre e rosse, perlopiù. Non erano fitte, né contigue: già due volte, negli ultimi quindici minuti, piccoli caseggiati abbandonati erano spuntati tra una macchia e la sua seguente sorella.
    «Passiamo le comunicazioni a Loc-Com Unvs», annunciò Yeren. «Chiedono il vostro status operativo e un ping di geo-localizzazione.»
    Tiber digitò una stringa di numeri sul tastierino del Vox. «Plvs-Plvs. Restiamo in stand-by per il cambio linea, passo.»
    «Copiato. Attendete.»
    Il canale comunicativo si zittì per un secondo. Un fischio lo invase, ragliando qualcosa in Lingva-Technis, per poi sparire tanto velocemente quanto era apparso.
    «Loc-Com a Valor Vang-Primvs, Loc-Com a Valor Vang-Primvs
    «Riceviamo», disse Tiber.
    Era la voce di un uomo. «Vang-Primvs, inviate un ping.»
    Schiacciato sul pulsante d’invio, Tiber si tirò indietro con un colpo di reni. Strinse la cornetta tra spalla e collo, usando l’altra mano per mantenere il cavo lontano da possibili ingarbugli. «Ordine compreso e svolto. Stand-by.»
    «Copiato, plvs.»
    La via asfaltata continuava, lunga fin oltre l’orizzonte. Andava a Chenkovopropila, Muraktirka, Portal Danòrra Poleìnuv e ancora più in là, a Negemyn, Nova Haronskaya e cento diversi nomi, tutti altrettanto impronunciabili. Li aveva visti sulle mappe olografiche prima dello sbarco a Chernobasa, e durante i vari briefing pre-operativi tenuti dal loro Colonnello.
    Speriamo che siano più difficili da dire che da liberare…
    Il vox crepitò: «Abbiamo definito la vostra posizione, Vang-Primvs.»
    Annuendo, Tiber sbloccò un altro metro di cavo dall’allaccio a lato dell’apparato e si volse a guardarlo, offrendogli la cornetta. Sistemandosi alla meglio vicino all’operatore, Aurelios l’avvicinò alle proprie labbra e spinse il pulsante d’accensione. «Superato cavalcavia per S-11 M.49.» Staccò il pollice dal pulsante e riprese fiato. «In dirittura per piazzola di sosta, sempre S-11 M.49.»
    Avrebbero trovato gli aurelici e i Severan, lì? Lo sperava, in un certo modo. Se non avessero incontrato resistenze d’alcuna sorta, sarebbe stato probabile che stessero marciando dritti in qualche trappola. Incrociare dei contatti ostili lungo la loro avanzata, invece, poteva voler dire che ci fossero ritardatari e vittime della disorganizzazione.
    Un nemico disorganizzato era un nemico che combatteva male.
    «Copiato.»
    «Disinnescato OEI con ausilio Jerushita ed evacuato sette civili.»
    «Positivo, continua.»
    Un’altra grande giornata nella Guardia Imperiale! «Nessun contatto ostile lungo la strada.»
    «Vang-Primvs, siete autorizzati a procedere per S-11 M.49, ma avete ordine di cambiare strada. C’è una corsia di decelerazione avanti a voi. Controllate il sito prima di procedere.»
    «Plvs-Plvs. Avete le coordinate?»
    «In arrivo. Riferite appena avete assicurato l’area, passo e chiudo.»
    Nel momento in cui la chiamata terminò, Jason sgusciò all’interno dello Hypaspista attraverso la scaletta in coffa. Zhì s’arrampicò su per la cupola, scavalcando il parapetto. S’accucciò dietro allo scudo balistico e gettò un’occhiata al suo cogitator da polso.
    «Quindi?»
    Tiber recuperò la cornetta e riavvolse il filo, poi prese a picchiettare le dita sul monitor del suo apparato vox, collegandolo all’unità portatile di Zhì.
    «Hai tutto?»
    Lei gli rispose con il capo, poi alzò gli occhi al suo drone. Il servo-teschio ricognitore si staccò dalla sua orbita di pattuglia sopra allo Hypaspista, accelerando in crociera verso nord. Scese di quota, portandosi alla stessa altezza del guard-rail, mentre le sue occhio-camere continuavano a trasmettere lo stream al cogitator della sua pilota.
    «Non tenerlo così basso», commentò Jason. Stringendosi per non sfrattare l’operatrice, il capocarro si appoggiò alla brandeggiabile con il gomito. «Non abbiamo visuale dall’alto, poi.»
    «Sì, e se me lo pigliano a colpi di laser non ne avremo e basta.»
    «Dettagli.»
    Il servo-teschio recuperò altitudine, salendo d’un paio di metri. «Contento, adesso?»
    «Se c’è un’AAC in zona, non lo sarai tu nel momento in cui ci prende.»
    «Pessimista.»
    «Sempre», ribadì lui. «Siamo noi nelle scatolette quelli che finiscono sempre male.»
    Ièn si rianimò. «A dirla tutta, se un razzo dovesse arrivarci addosso ora…»
    «Non portarci sfiga, Libri.»
    «Stavo dicendo…»
    Zhì lo zittì alzando una mano. «Via sgombra. Non rilevo tracce termiche.»
    «Rottami?» le chiese il capocarro, sporgendosi per guardare il suo monitor. «Come giudichi la viabilità?»
    «Direi che è fattibile. Non ostruiscono il passaggio.»
    Aurelios si allungò dal cingolo alla cupola, scavalcando Hahàva con un colpo di reni. Abbracciò due maniglie di sicurezza, issandosi sul bordo della coffa. Con la destra recuperò l’impugnatura dell’Accatran e portò l’indice della sinistra sopra allo schermo della specialista. Le occhio-camere del suo drone inquadravano in dettaglio un varco laterale a due corsie.
    «Che dici?»
    Alla domanda di Jason, Aurelios rispose aggrottando la fronte. «Non è molto coperta…»
    «Già…»
    «Abbiamo i nostri ordini. Dici che hai un parcheggio buono, lì?»
    «Mmh, forse il gabbiotto.» A guardarlo dall’alto, non era granché. Era troppo sottile per offrire un riparo adeguato al loro VPIC, e le sue pareti non avrebbero fermato che calibri molto, molto leggeri. Ma l’area era scoperta comunque la si prendesse. «Non mi piace.»
    «Neanche a me.»
    Accovacciandosi ai piedi della cupola, Aurelios batté una mano sul suo bordo. «Quanta autonomia abbiamo?»
    Dopo un breve scambio con gli altri due membri dell’equipaggio, Jason alzò la testa dalla tromba della scaletta d’accesso all’interno. «Cinque ore, tenendo questo regime.»
    «Ièn, avvisa che ci servirà un pieno», intervenne Sirio. Si portò dal lato sinistro del mezzo al fianco di Aurelios, che si spostò d’un passo per fargli posto. «Sempre ammesso che non abbiano una pompa, giù alla Zavtacamoil.»
    Per un momento dominò il silenzio tra loro, rotto solo dal procedere dei cingoli sull’asfalto. Trascorsi quei secondi, tutta la squadra scoppiò a ridere.
    «Uhm, buongiorno» esordì Hahàva, dalla punta del cingolo sinistro. «Sì, guardi… allora, mi servirebbe un pieno per il mio carrarmato.»
    «Vuole la Verde, la Rossa o il greggio grezzo?»
    «Verde, è un Imper-Septim!», esclamò Jason.
    Ancora ridendo sottovoce, Zhì si sporse oltre la coffa. Le fece il verso, mimando la voce dei locali con un accento il più terribile possibile. «Gah-ah. Contanti o ‘mat?»
    «’Mat, grazie.»
    «Allora sono seicento Troni e settantacinque.» Si guardò intorno, quindi tornò a seguire il suo cogitator da polso. «All’ora, eh.»
    Hahàva abbassò la testa, lottando contro le sue stesse risate. «Il conto lo mandi alla Crociata, di grazia.»
    «Daaah. A chi lo intesto?»
    «General-Comandante Augustus Jr. E. Brash, di Gladiush. Ci pensa lui, non si preoccupi.»
    «Ma vuole anche la ricevuta?»
    «Sì, sì! E i punti sulla carta cliente, grazie.»
    Lo Hypaspista affrontò un dosso di rallentamento, impennandovisi contro; Aurelios si aggrappò alla maniglia di sicurezza, reggendosi per non scivolare giù. La prua tornò a mordere l’asfalto e lo scossone attraversò il mezzo tra improperi e bestemmie.
    «Oy, reggetevi!», urlò Jason.
    «Avvisaci prima!», borbottò Sirio. «Cos’è, sei a scoppio ritardato?»
    «No!» urlò Yarat dall’interno prua. «Lui è solo ritardato.»
    Ièn scrollò le spalle. «Ce ne siamo accorti.»
    Sgranando un cigolio ferroso, il mezzo sterzò di novanta gradi, portando il proprio muso a fronteggiare l’uscita di una corsia di decelerazione. Lì la recinzione stradale s’interrompeva e c’erano due varchi aperti su di una via secondaria, pochi metri al di sotto. Quello che si parava davanti a loro scorreva in discesa, verso una subalterna lingua d’asfalto.
    L’altro varco, invece, era un tragitto d’accelerazione per entrare dal basso sulla Provincialii Via M.49. Diverse auto-vetture lo puntellavano, sparse qui e lì, sia prima che dopo del casello di controllo. La sbarra era tronca, con frammenti sparpagliati lungo il tarmac.
    L’andatura dello Hypaspista rallentò ancora, lanciando scaglionate nuvole di carburante bruciato. Si portò a ridosso del gabbiotto di guardia, costeggiandolo a nemmeno un metro di distanza.

    Ièn sbarcò al suo fianco, scattando in posizione. Alzò il tiro del suo las-fucile al gabbiotto, battendo l’orizzonte da esterno a esterno. Abbassò l’arma, portandone la canna a puntare l’asfalto.
    Dardeggiandogli alle spalle, Aurelios si allungò alla struttura. Alle sue spalle c’era Hahàva, pronta a fornire supporto con l’elevato rateo di tiro del suo Merovech-Pattern d’assalto. Si portò a ridosso del gabbiotto, riparandosi dietro una delle sue colonne portanti.
    Si sporse, attivando la funzione visr-scan del suo elmetto. Un riquadro a ingrandimento si palesò al centro del suo HVD, in linea con i suoi occhi. Guardò la corsia, scandagliando tra le autovetture che erano state abbandonate chissà quando.
    Il rilevatore lampeggiò, mandandogli un segnale d’allerta. Alzò il pugno sinistro, in modo che la squadra trincerata dietro lo Hypaspista potesse vederlo. «Abbiamo del movimento», sussurrò sul canale vox a corto raggio. «Fermi.»
    L’icona di Ikaròs s’attivò. «Ti copro.»
    Imbracciò l’Accatran, portando la mano all’astina di sostegno. Spinse il calcio contro lo spallaccio dell’armatura anti-schegge e si staccò dal gabbiotto. Allungò l’indice alla scocca del grilletto, abbracciando quest’ultimo.
    Con uno squittio, una coppia di pantegane sfrecciò davanti ai suoi occhi. Sgusciarono da sotto una Trabland, zigzagando sull’asfalto basse e veloci. Una si fermò, lo guardò fugace e poi tornò a zampettare verso il lato destro dell’ingresso.
    Aurelios esalò un sospiro.
    «Cessato allarme.»
    «Phrà, dici che sono esplosive?» esordì Ikaròs, sempre sul vox a corto raggio. Lo sentì lottare contro un conato di risata. «Oh, magari ci vogliono attaccare.»
    «Azzeriamole!», s’issò Zhì. Salì sullo scafo dello Hypaspista e scese dall’altro lato, inginocchiandosi con l’arma in posizione di riposo. «Min-prox! Min-Prox! Ad Sagitta Spezzatam, fate venire la pioggia!»
    «Erano solo dei topi», li riprese Sirio, con la voce di qualcuno che era già stanco. «Piantatela di dire stronzate.»
    «Veramente erano ratti.»
    «I topi sono ratti, coglione.»
    Tiber reimpostò la sicura. «A me sembravano dei roditori…»
    «Che», Ikaròs spense il puntatore del suo las-lungo, «sono sia topi che ratti.»
    «Come fanno, scusa? O sono topi o sono ratti.»
    «La famiglia è quella dei roditori, idiota. Il topo è un roditore, il ratto è un grosso topo. Essendo un topo, è sempre un roditore.»
    Il tiratore scelto scrollò le spalle. «Mah, secondo me non è così.»
    «Non è…» Sirio sospirò. «Fa lo stesso.»
    Risistemandosi la tracolla dell’Accatran attorno al collo, Aurelios marciò fino al gabbiotto. Scavalcò la recinzione di sicurezza, spingendosi sull’interno della corsia di decelerazione. I frammenti della sbarra erano sparpagliati davanti e subito oltre lui. Da com’erano disposti, era stata spezzata da qualcuno in uscita. Una trablant, forse, lanciata a tutta velocità.
    «E comunque erano pantegane», borbottò sul canale vox della squadra.
    «Che sarebbero?»
    «Grossi ratti.»
    «Quindi dei topi», commentò Zhì, raggiungendolo. «Proprio come dicevo io… aspetta, tu com’è che sai che erano pantegane?»
    La porta del gabbiotto era rimasta chiusa. O il metronotte non si era presentato al lavoro, oppure quando era scappato aveva chiuso la stazione dietro di sé. Girò la maniglia, ma non ottenne niente. «Hanno più carne. Ottima, molto tenera. Ai ferri sa un po’ di pollo.»
    Zhì incassò la testa tra le spalle. «Phrà, onesto.»
    C’era una batteria di cogitator all’interno del gabbiotto. Forse potevano essere utili. Sferrò una gomitata al vetro sopra alla maniglia, frantumandolo di netto. Si sporse all’interno del vetro andato in pezzi e cercò la serratura, trovando un meccanismo a cipolla.
    Va bene…
    Indietreggiò d’un passo.
    «Ah, grazie all’Imperatore» borbottò Zhì, affacciandosi. «Hanno l’ausiliario a dinamo.»
    «Togliti, Zì.»
    La compagna di squadra non ci pensò due volte, scartando a sinistra. Caricando il colpo con il suo peso, Aurelios schiantò un calcio sulla porticina. I cardini cedettero, lanciando uno storto urlo ferroso, e l’impeto portò l’uscio a crollare sul pavimento. Aurelios si chinò a raccoglierlo e lo gettò alle proprie spalle, facendolo carenare contro l’asfalto.
    Con noncuranza, Zhì entrò nel gabbiotto. S’inginocchiò davanti alla batteria di computer e afferrò la manovella dell’alimentazione ausiliaria. Le fece fare una dozzina di giri prima di bestemmiare sottovoce, mettersi l’arma a tracolla e raddoppiare i suoi sforzi.
    Il sistema s’illuminò, attivando una dozzina di spie luminose. Con un fruscio di ventole, il monitor centrale passò dall’essere buio all’avvio del BIOS di sistema. Stringhe e linee di Lingva-Technis fluirono sullo schermo per alcuni secondi, cedendo il passo ad una schermata iniziale.
    «Yay», esultò Zhì, chinandosi sulla batteria. Dal suo zaino tattico trasse una serie di compatte, nere schede informatiche. Tutte erano armate del Rites VSB, con un cavo d’allaccio. Piantò lo spinotto in una porta d’accesso e poi digitò qualcosa sul suo cogitator da polso. «Ma che bello, hanno una cronologia delle videocamere.»
    «Scarica tutto e poi muoviamoci.»
    «Aspetta, dopo.»
    «Non restiamo troppo allo scoperto.»
    Lei annuì. «Sì, ma hanno una mappa stradale. Quella può servirci.»



    AAC: Arma Anti-Carro.
    Min-Prox: Minaccia Proxima, Danger Close.

    Ad Sagitta Spezzatam: Missione fallita, livellate la zona. DISTRUGGETEH TUTTOH!
     
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