Valorchives

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  1. dany the writer
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    Quaranta minuti dopo, il battistrada scorreva alle loro spalle. Le sei ruote pneumatiche del Taurox Terran-Victoria Pattern rullavano a pieno regime, ringhiando al tarmac sottostante. Joris manteneva una crociera veloce, consultandosi di frequente con l’operatore dell’Auspex di bordo, lo specialista e navigatore Markus, per mantenere sotto controllo il cielo.
    Forse sarebbe stato più sicuro scegliere un veicolo cingolato per quella missione di scorta, ma arrivare dagli Elysiani con lo stesso avrebbe richiesto più tempo, lasciandoli a lungo a rischio di venire intercettati da qualche drone.
    E per quanto fossero ancora al limitare della loro zona di controllo, non era il caso di rischiare un impatto. I separatisti amavano lasciare sorprese esplosive in giro, a dimostrazione del fatto che non avevano buttato al vento tutte le lezioni della Tactica Imperialìs. Quel genere di strumenti costava poco e causava un buon danno, rallentando il nemico.
    Se si fosse trovato a vestire i loro panni, avrebbe fatto lo stesso.
    Spense il mozzicone della sua terza sigaretta accesa dall’inizio di quella faccenda nel posacenere e si sporse per dare un’occhiata allo specchietto retrovisore del conducente; il blindato degli artificieri era ancora lì a seguirli, quindici metri alle loro spalle.
    Alla sua richiesta di un team di specialisti per disinnescare il rasoio, il comando locale gli aveva fornito una squadra del 38° Reggimento dei Marines Jerushiti, i più vicini al sito dell’ordigno, e poi si era rifatto vivo con l’ordine di mobilitare e incontrarli a mezza via.
    Se dovevano fargli da scorta fino all’OEI, un Taurox non era proprio la scelta migliore: la sua corazzatura era relativamente leggera, per quanto qualcosa fosse sempre meglio di niente, mentre il cannoncino binato montato sopra alla prua avrebbe potuto al più spaventare un Chimera.
    Non era il caso di discutere gli ordini che venivano dai piani di sopra, ma se si fossero presentati dei problemi, il mezzo degli Elysia era il più pesante e cattivo a loro disposizione. E quella squadra di poveri disgraziati aveva un IFV Hypaspista.
    Sempre meglio di quello che hanno loro…
    I Jerushiti li seguivano a bordo di un pick-up tattico, uno Yervan Ypsilant 4x4 mimetizzato. «Dici che gliel’ha comprato la Crociata, o...»
    Joris grugnì qualcosa d’indefinito e cambiò la marcia, scalando d’una in basso. Stavano arrivando a destinazione, quindi. «Colletta di qualche civile impietosito, mio signore.»
    «Andiamo bene!»
    «Già...»
    Qualche anima pia gli aveva montato sopra delle lastre d’antischegge sullo scafo e una sei-canne antiaerea in cima al tettuccio. In pratica, per spedire quel rottame alla gloria dell’Omnissiah sarebbe stato sufficiente sputargli addosso.
    Yašir tornò con la schiena appoggiata al seggiolino e tirò fuori il palmare di missione. Come nota nel Log ufficiale, la scorta a degli artificieri per rimuovere un OEI non era materiale da medaglia, ma perlomeno non gli richiedeva di tallonare le unità in avanzate a portata di tiro del nemico. Le faccende faccia a faccia era meglio che le sbrigassero loro, piuttosto che le anime di un reggimento di supporto.
    Al di fuori, la Provincialii Via M.49 si allungava tra rostri di xeno-vegetazione rossa e blu e il modesto grigiore dell’asfalto. Come riportato da altre unità, i segnali stradali erano stati divelti. Registrò la locazione di un’uscita secondaria bloccata da un autobus abbandonato e inserì la nota nel Log. Avrebbe fatto richiesta perché un Tankamar fosse mobilitato dal Comando Locale e portato in zona per rimuoverlo.
    Ignorando le vetture abbandonate ai bordi della carreggiata, però, l’arteria era pressoché spoglia. Le grandi e munifiche strade della Sacra Terra erano molto più ricche e addobbate.
    Si alzò e, agguantando una maniglia di sicurezza, scavalcò con un passo il suo zaino da escursione operativa. Il soffitto era basso, tagliato in centro da una linea di piccoli, rettangolari pannelli a bassa luminosità.
    Doveva rimanere chino per non sbatterci contro. Incrociò per l’anticamera del vano di carico, appoggiandosi al seggiolino dell’operatore Vox di bordo. Martiniis registrò la sua presenza con un cenno del capo, poi settò la levetta della ricezione sul Canale Operativo schermato.
    «Loc-Com Chernobasa, qui Escop Primaris. Ricevete?»
    In seguito ad un cinguettio acuto, l’altoparlante trasmittente si rianimò: «Qui Loc-Com Chernobasa, riceviamo in chiaro.»
    Prima di riattivare il comunicatore a lunga distanza, Martinis digitò un codice sulla pulsantiera della sua stazione. «Loc-Com, potete verificare la copertura del mio segnale?»
    «Richiesta ricevuta e compresa», gracchiò l’altoparlante. Gli fece seguito un contratto acuto, elettronico e pungente.
    «Attendo risposta, Loc-Com Chernobasa
    Dopo un secondo di pausa, l’acuto si ripresentò. Al suo termine, il Vox-operatore Martiniis si massaggiò le tempie.
    «Escop Primaris, confermiamo che il segnale è coperto.»
    «Buono a sapersi, Loc-Com
    «Attendiamo il prossimo rapporto tra quindici minuti. Qui Chernobasa Loc-Com, passo e chiudo.»
    «Plvs
    E quella era già una questione chiusa. Posò una mano sullo spallaccio di Martiniis, poi si rivolse all’abitacolo di guida dell’APC. «Com’è il cielo?»
    Seduto a destra di Joris, Markus allungò una mano al pannello di controllo dell’Auspex di bordo. Lo tenne fermo quando un sussulto scorré sotto di loro, poi schiacciò un bottone con il pollice. Lo schermo si rianimò, mostrandogli uno sfondo verde sul quale girava un’onda di controllo bianca. Che bel sollievo era vederlo sgombro.
    «Nominale.»
    «Nessun ping?»
    «Per ora no, signore.»
    Yašir mandò giù un grumo di saliva e soffocò un finto colpo di tosse. Appoggiò la testa allo schienale in metallo del suo sedile, in seconda linea rispetto a conducente e navigatore, sbuffando un sospiro fuori dalle narici.
    Per ora. Per positivo che potesse sembrare, non era affatto quello che avrebbe voluto sentire. Fuori dal perimetro di un campo-base era una definizione molto, molto pericolosa.
    Tastò la custodia della videocamera ad alta definizione. Era ancora lì, avvolta in una rimanenza di quell’odore di plastica e tessuto nuovo.
    «Continua a tenerlo d’occhio, intesi?»
    Markus rispose con un cenno della testa, quasi sovrascritto dalla figura dell’elmetto, prima di fare ritorno allo schermo e al suo cogitator palmare.
    «Prosegui su questa strada.»
    «Non è che ci siano deviazioni interessanti...»
    Il navigatore e specialista esalò uno sbuffo basso e stanco. Come Joris, indossava la panoplia anti-schegge a placche sbalzate sopra alla mimetica da fatica, e presso i suoi piedi aveva una corta las-carabina Kantrael d’ordinanza. La spostò dal lato destro al sinistro, alzando un ticchettio di scatti metallici che rimbombarono per un momento dentro l’abitacolo blindato, appoggiandola in sicurezza al pozzetto rinforzato del freno semi-autonomo.
    Un sussulto sbilanciò Yašir, che s’impuntò e rafforzò la sua stretta sulla maniglia.
    «Che cazzo di strade!», sbottò Markus scuotendo il capo. «Ecco che succede a farle fare ai campagnoli, Terra la stramaledetta...»
    «Sì, be’...» Non aveva assolutamente tutti i torti. «Cerca di non farti sentire.»
    «Campagnoli!»
    «Markus?»
    «Sì, signore.»

    Yašir tornò al suo posto, assicurandosi al seggiolino con la cintura di sicurezza. Prima di partire avevano controllato le loro armi e lo stato delle celle energetiche, che erano tutte cariche e pronte all’uso. Altre unità di scorta erano disposte all’interno del veicolo.
    Avrebbe di gran lunga preferito non doverle usare, ma che fossero sempre a portata di mano era un dettaglio rassicurante.
    Nel malaugurato caso in cui non fossero state sufficienti a tirargli fuori da qualsiasi impiccio lungo la strada per i commilitoni di Valor, e potevano essercene tanti così lontani dal loro campo-base, il loro Taurox era fornito anche di un robusto generatore portatile modello Atheaks Xion-Pattern per ricaricarle con la massima rapidità.
    Se tutto va come deve andare, servirà più a loro che a noi...
    Stringendo i braccioli del suo sedile, Yašir l’adocchiò corrucciato. Era stata messa sotto al sedile del conducente e assicurata al pavimento zigrinato dell’abitacolo tramite due ampie cinture di sicurezza. Grande poco più di una cassa di granate fumogene, installarla in posizione era una questione di pochi minuti. Una matassa di cavi era legata al centro, con gli spinotti protetti da custodie di plastica.
    I Machinomanti interni al Reggimento non erano molto contenti di quel marchingegno. Stando a loro, l’Atheaks bruciava in fretta le componenti più delicate delle celle da 19 Megathule, accorciandone la vita operativa.
    Allo stesso tempo, comprendevano bene le necessità della unità stanziate presso le prime linee. Il fronte poteva muoversi da un momento all’altro, come stava succedendo in quel momento, e un reggimento come il loro doveva essere sempre in grado di supportare le altre unità.
    Sbirciò alle proprie spalle, oltre gli altri sette occupanti stipati nel vano di carico. Sulla destra, prima del portellone di sbarco, il servitore porta-carichi attendeva d’essere destato dalla sua condizione di stand-by letargico. Era un modello a cui erano state tolte le gambe, sostenute da un sistema locomotore cingolato, e dalla programmazione il più possibile grezza e utilitaria. Era facile da pilotare a distanza, senza arrischiarsi fuori dal veicolo, e ben poco impegnativo da sostituire.
    Dopotutto, la Sacra Terra aveva un serbatoio pressoché inesauribile di pellegrini dei quali non importava niente a nessuno...
    «Signore?»
    A parlare era stato Namir, il secondo seduto lungo il rostro di sinistra. Gli rivolse un cenno d’assenso con il mento e lui prese a guardarsi attorno. «Dite che sono stati loro?»
    «Può darsi.» Sì o no, in una situazione dai parametri ancora ignoti, erano troppo definitivi. «Non sarebbe la prima volta.»
    «Quindi sono vicini.»
    «Se sono stati loro, allora può darsi.»
    Erano già stati avvisati a Chernobasa, durante i combattimenti per sgomberare la città dalle forze d’occupazione del Severan e dei suoi infidi alleati. Dai rapporti che aveva dovuto leggere, un compito che preferiva allo stare sotto alle fucilate in prima linea, non era emerso nessun nuovo elemento di valore. Diverse unità li avevano incrociati sul campo, prima presso lo spazioporto e poi attorno alla diga secondaria di Haronskay Nyubas. Non erano il tipo d’unità che un esercito come quello del Severan avrebbe sacrificato in un’azione di retroguardia, però. Quindi, era assai probabile che fossero riusciti a sganciarsi e ripiegare in buon ordine.
    Il soldato si batté le mani sulle ginocchiere. «Mettiamo che siano stati loro e che sono ancora qui nei paraggi...»
    «Siano» scandì Yaresa, sporgendosi in avanti. «E che siano ancora nei paraggi.»
    «Non fare una vendassata, tu.»
    «La grammatica non è negoziabile.»
    Joris scalò di marcia. «Ci risiamo...», giunse la sua voce dall’abitacolo. «Di grazia, può farlo semplicemente andare al punto?»
    Yaresa tornò con le spalle allo schienale del suo posto.
    «Quel che volevo dire è… abbiamo l’autorizzazione ad ingaggiare, se li troviamo?»
    Forse era il caso di trasferire quella testa calda in un reggimento più operativo. Per quanto guadagno mediatico potessero dare alla loro unità, gli idioti volenterosi finivano sempre con il farsi ammazzare assieme ai loro compagni. «Non è il nostro compito.»
    «Quindi no, signore?»
    «Quindi», ribadì usando una sua parola per costringerlo a prestargli la massima attenzione, «nel qual caso dovessero essere nei paraggi e ci attaccassero, ovviamente voglio che li azzeriate. Ma se non vengono loro da noi, lasciamo la questione ad un’unità operativa.»
    I ragazzi di Qirie El’ena, per esempio.
    Yaresa puntellò con il piede sul pavimento. «Perché loro hanno sempre i compiti più gloriosi?»
    «Perché loro tornano a casa come C-Tre-Null-Tre. Noi no.» E mi piacerebbe molto che la situazione non cambiasse affatto.

    Quando furono in vista dello Hypaspista e del cavalcavia, Joris ridusse la crociera del Taurox. Sterzò a destra, costeggiando il recinto protettivo. All’ombra dell’arco, che avrebbe fornito qualche copertura dura in caso di droni o servo-teschi suicidi, tirò il freno.
    Le ruote presero a stridere, alzando una lagna meccanica che riverberò dentro il mezzo.
    «Siamo fermi!», annunciò sbirciando sopra alle proprie spalle. «Avanti, giù! Giù!»
    Già pronto presso la panca sinistra del vano di carico, Yašir impugnò i maniglioni del portellone di sbarco e li sbloccò con una torsione. Spinse il pannello a lato e scattò giù, affrettandosi a liberare il passaggio; inforcò il Kantrael sotto l’ascella, l’indice pronto presso la scocca del grilletto, inginocchiandosi il più rapido possibile sull’asfalto.
    Namir e Yaresa lo seguirono a mezzo secondo di stacco, portandosi al suo fianco e disponendosi per coprire i suoi angoli ciechi. La seconda gli lanciò un’occhiata, alla quale Yašir rispose aprendo la destra e stringendola due volte a pugno.
    «Libera!», annunciò nel Vox a corto raggio. «Giù, muovetevi!»
    Gli altri elementi della squadra sbarcarono, allargandosi a ventaglio tra sussulti di zaini e monchi scatti d’armi laser. Alzò gli occhi, pronto a ricevere la presenza degli Elysiani. Presso l’ingresso della galleria sottostante il cavalcavia, uno di loro già lo fissava.
    Era un uomo particolarmente alto, con un ampio taglio di spalle. Non indossava il suo elmetto integrale, che anzi stringeva con un’offensiva noncuranza nell’incavo del braccio. Aguzzando la vista su di lui, Yašir notò che aveva inarcato un sopracciglio scuro.
    «Uhm, phràs? Anche un po’ meno, eh.», esordì in Basso Gotico. La sua parlata aveva l’affettato accento dei poveri. «L’area è già stata messa in sicurezza.»
    Oh. I valorini avevano un che di quasi rilassato, in effetti. Due di loro, un tiratore scelto armato di las-lungo e una operatrice specialista fornita di un cogitator da polso, erano proni al fianco dello scafo dello Hypaspista. Altri tre elementi sorvegliavano l’ingresso della galleria, mentre il resto della squadra era di guardia attorno al mezzo.
    «Vedo...» Si alzò, spazzando dal suo schiniere la polvere dell’asfalto. Lasciò andare il Kantrael, che ritornò a pendergli dal fianco, e si avvicinò a chi gli aveva parlato. «Dunque, chi di voi è in comando?»
    L’Elysiano schioccò la lingua e lanciò un cenno del mento ad uno dei suoi commilitoni presso l’entrata del cavalcavia. Quest’ultimo scrollò le spalle, alzò una mano con fare interrogativo e poi gli rimandò lo stesso, identico gesto.
    Yašir aggrottò la fronte. «Potete spiegare?»
    «È lui che comanda», disse il mezzo-gigante. Sulla sua antischegge scura, una patch in velcro riportava in maiuscoli caratteri Alto Gotici la dicitura: “VT-SGT M. AURELIOS.”
    «Balle!», rimbrottò l’altro, avvicinandosi a passi non affrettati. «Non lo ascolti, è lui in comando.»
    Guardandolo torvo, Yašir prese nota anche del suo identificativo.
    «Due sergenti per una sola squadra?»
    Quarta si strinse nelle spalle, rovesciando sull’asfalto un rimbrotto di giberne. Anche lui non indossava l’elmetto. Aveva abbassato il passamontagna termico, rivelando un viso che non vedeva una buona rasatura già da qualche giorno. I suoi lineamenti erano più patrizi e definiti di quelli del gigante e parlava con una cadenza pulita, quasi spoglia del canterellante accento degli Elysia. «Al nostro colonnello piace così, signore. Siamo gente particolare.»
    «Noto...»
    Entrambi gli tesero l’avambraccio. Strinse prima quello di Quarta, che si sprecò in un mezzo cenno d’assenso a restituirgli la cortesia. «Sergente-specialista Quarta Sirio, signore.»
    «Tenente-capitano Arkharat Ilastass Yašir, 38° Reggimento di Supporto Guardie di Sol.»
    Al momento di ricambiare il saluto al tale di nome Aurelios, Yašir aggrottò la fronte. Visti da vicino, lui e Quarta avevano un che di simile. Al di là della comune origine, il taglio dei loro visi era simile. La linea del mento era pressoché identica. Differente era l’arcata superiore, dove Quarta dimostrava la sua nobiltà e Aurelios il venire da qualche bassofondo senza nome.
    «Markhairena Aurelios», esordì guardandolo di misura dall’alto in basso. «Sergente-specialista, Prima Compagnia del Battaglione Valor. 164°esimo.»
    «Quindi siete proprio voi, i ragazzi di Qirie El’ena. È un onore fare la vostra conoscenza.»
    «Yvp. Lei sarebbe il colonnello», replicò Aurelios. «La conosce?»
    «Ho letto qualcosa.»
    Facendogli cenno di seguirlo, Sirio si schiarì la gola. «Allora può tornarvi utile sapere che non ama essere chiamata in quel modo.»
    «Ma è...»
    Lo sterzare del pick-up dei Jerushiti strangolò le sue parole. Parcheggiarono una decina di metri dalla poppa dello Hypaspista e scesero di bordo alla spicciolata. Senza alzare la mano, o lasciare andare il suo compatto Accatran stretto con la sinistra, Markhairena schioccò le dita alla vista del primo a scendere.
    «Oy, Qu’ssan! Phrà
    Il Jerushita sorrise a trentadue denti unti di nicotina, allargando le braccia alla vista del sergente Elysiano. Si abbracciarono con vigore, spargendo roche note di zaini da campagna e antischegge che s’urtavano. Erano alti e massicci, con indosso simili mimetiche da fatica verde scuro.
    «Rul’eyos! M’faràh
    «Non si preoccupi», commentò Quarta. «Noi e i Jerushem ci conosciamo da tanto.»
    «Non siete...» gli vennero meno le parole e si guardò attorno. «Non siete la stessa gente, più o meno?»
    «Cugini. Jerushem è una quasar-demensne dei Tinysia.»
    Markhairena e l’artificiere Qu’ssan si separarono dalla loro stretta e il primo cinse le spalle al secondo con il braccio. «Allora, senti, qui abbiamo una rogna tra le mani.»
    «Cazzo è, un rasoio?»
    «Yvp
    Il Jerushita alzò lo sguardo al cavalcavia, poi comunicò qualcosa alla sua squadra. Da questa si sganciò una guardia, carica sulle spalle di un voluminoso zaino tattico. Era un uomo barbuto come Qu’ssan, e sotto l’elmetto s’intravedevano le fasce di un turbante nero.
    «Giuro, è il quinto da stamattina», bofonchiò all’indirizzo di Markhairena. «Jezhra, adoro il tuo shiraad. Ne vorrei uno anche io.»
    «La scatola di latta? Sai, forse ne abbiamo uno in magazzino. Una mina, giù a Chernobasa, gli ha fottuto un cingolo però...»
     
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