Valorchives

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  1. dany the writer
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    A mezz’aria risuonò un cigolio ferroso. Jason portò la brandeggiabile in linea con l’ingresso del tunnel, rilasciando una ridda di stridii. Il capo-carro strattonò l’arma per i bracci e questa, scorrendo sulle sue corte rotaie, arretrò fino a sistemarsi in posizione.
    Un tintinnio rantolò giù dal mezzo. Stava controllando il munizionamento a nastro. Più forte e secco, lo scatto a molla del sistema di sblocco si allargò, sbattendo contro le pareti di sostegno del cavalcavia. Defilato in avanti rispetto alla prua, Markhairena alzò un pollice all’indirizzo del capo-carro.
    «Libera!»
    Per ora...
    Zhì tornò in piedi e gli diede le spalle, arrampicandosi sullo scafo dello Hypaspista. Scivolò giù pochi attimi dopo, stringendo al petto una matassa di filo e un piccolo scettro di metallo. Srotolò il filo sull’asfalto, poi si stese a terra e alla propria sinistra inastò lo scettro. Inserì lo spinotto, in cima al cavo, dentro la presa di corrente e si assicurò che fosse solida con un colpo di mano.
    Dal marchingegno cominciò a sfrusciare un basso sentore di corrente. A quel punto, la specialista strinse il fondo dell’asta e lo guidò ad appoggiarsi sull’asfalto. Attese un secondo, quindi spinse in alto tre rune d’attivazione.
    Le spie luminose passarono da inerti a blu e una corona a parabola si dispiegò attorno alla testa dello scettro-auspex.
    «Status?»
    In risposta alla domanda di Markhairena, Zhì alzò il pollice. «Plvs
    Con l’auspex in funzione, avrebbero avuto qualche preavviso nel caso i Severan avessero mosso dei servo-assalitori nella loro direzione. Non era molto, ma qualcosa era pur sempre meglio di niente.
    «Perché non sento niente?» In posizione presso l’ingresso del tunnel, Markhareina spostò il suo sguardo da Ièn alla porta. Si calò la celata-HVD dell’elmetto sulla faccia e il visore si polarizzò in scuro, nascondendogli il viso.
    Ikaròs s’accigliò. Vero, non veniva alcun suono dai civili intrappolati dietro il portone. Al di là del vetro, sul quale picchiavano i pugni senza smuoverlo, le loro facce erano distorte in grida ed espressioni concitate.
    Non traspirava un solo sospiro.
    «E se fossero ologrammi?», propose Hahàva. Si portò in posizione e l’arcata d’ingresso del tunnel sfrecciò sotto il suo Merovech-Pattern. Reinserì la sicura e portò l’arma in condizione di sicurezza, la canna puntata all’asfalto.
    «Si, e se tu non fossi stupida?» Con un sussulto di zaini e giberne, Zhì si sistemò alla meglio accanto ad Ikaròs, girandosi sul ventre. Occhieggiò al suo sistema Auspex, poi torse il braccio per avere il cogitator subito sottomano. «Ci sarebbero dei disturbi nell’immagine.»
    Era sensato, ma anche da così vicino? Incassò il calcio del fucile contro lo spallaccio prima di togliere le capsule protettive dalle lenti del mirino.
    Il Colonnello gli avrebbe fatto la pelle a strisce se l’avesse riportato alla base danneggiato senza una buona ragione.
    Portò l’indice alla levetta d’attivazione e la spinse in basso. Dapprima silenzioso, il puntatore s’animo con un trillo elettronico a bassissima frequenza, che s’acquietò alcuni secondi dopo. La scheggia-cogitator interna era entrata in piena funzionalità.
    Ikaròs staccò il viso dal mirino. Stressare gli occhi prima di mettersi a cercare era stupido. «Sì, ma non se il proiettore è ai loro piedi.»
    Da nord sgorgò un tramestio di lontane onde d’urto e il tiratore scelto alzò gli occhi al cielo. Le nuvole, storte e vagabonde, erano ancora lì. Buon segno; qualsiasi cosa stesse succedendo, non era immediatamente sopra alle loro teste.
    Artiglieria navale. Spaventosa da sentire, ma tutto in regola.
    «Sono carne e ossa. So riconoscere un ologramma.»
    «Il sospetto c’è», intervenne Markhairena. «Meglio spiacenti che sorpresi.»
    Ah, ecco il buon vecchio Camp Martes…
    La loro specialista si limitò a scuotere il capo e alzare il braccio, dove portava montato il suo cogitator di guida e navigazione, all’indirizzo del servo-teschio. Con un cinguettio elettronico, il drone interruppe la sua stasi e scivolò in avanti, oltre il filo d’attivazione.
    I civili dietro la porta continuavano a sbattere i pugni sulla vetrata. Le loro bocche si muovevano, ma senza un suono dietro erano grottesche.
    Sirio scoccò un cenno a Ièn. «Avvicinati e tranquillizzali. Non fare cazzate, intesi?»
    «Chiaro...»

    Allora, dove sei?
    Il servo-teschio di Zhì era a mezz’aria, in attesa di nuove istruzioni. Prese nota della sua posizione e spostò il puntatore in diagonale. Il filo del “rasoio” era più in basso e il drone lo illuminava con una delle sue torce a fascio.
    Tra l’ombra e quel tanfo di crepuscolo che pervadeva il giorno, lì, c’era poca illuminazione. Dorn fottuto, rendeva tutto più difficile.
    «Un momento...», sussurrò sul canale Vox ad onde-corte.
    Ancora chino con un ginocchio poggiato sull’asfalto, seppur con il las-fucile ora abbassato, Aurelios sollevò il capo. Portò la mano libera alla calotta dell’elmetto, schiacciando la runa d’attivazione dell’auricolare. «Prenditi il tempo che ti serve, Ik’.»
    La voce di Ièn fece capolino subito dopo, spezzando di netto il basso sottofondo di statica: «Sì, ma diciamo non troppo...»
    Rilassò indice e medio, staccandoli dal grilletto. Li accostò alla sua scocca, distolse lo sguardo e strabuzzò gli occhi. «Perché?»
    Avanzando cauto verso la porta, il fucile all’altezza del fianco, Ièn scoccò un’occhiata al drone. Gettò il suo sguardo sul filo d’innesco, come a segnarsi la sua posizione, e si fermò dov’era.
    Ikaròs inarcò un sopracciglio; e ora che diamine gli era preso?
    Con il puntatore del las-lungo, Ikaròs della squadra misurò la distanza tra il commilitone e il filo. Un metro e mezzo, e tre erano quelli che stavano tra lui e la porta.
    Ièn non si muoveva.
    Un filo di vento attraversò il tunnel sotto il cavalcavia. Attraverso il passamontagna, Ikaròs ispirò un misto di odori, stinti dal tessuto. C’era un gusto ferroso a mezz’aria, e da lontano proveniva, assieme agli impatti, una vaga traccia di fycilene. Era di sicuro frutto di qualche colpo a lunga gittata della loro artiglieria. O quello, oppure era il lavoro dei ragazzi dell’Aeronautica.
    «Oy
    Ièn gli fece segno di aspettare. Mosse un altro passo e si piantò dov’era, immobile. La torcia laterale del suo elmetto divampò, proiettando un fascio di luce a pianta larga. La regolò con un colpetto dell’indice, stringendola ad una lama lunga e sottile.
    «Non vedo il secondo filo...»
    E quello era un buon segno. La trappola aveva un solo innesco, che la rendeva più semplice da disarmare. Il tutto ammesso di trovare il detonatore, che doveva essere lì da qualche parte, e l’unità rilevatrice. Doveva esserci un meccanismo per registrare che il filo era stato rotto e comunicare alla carica di esplodere. «Controlla le pareti e guarda dove vai.»
    «Plvs.» Continuò a procedere con fare guardingo, scoccando lente occhiate prima a sinistra e poi a destra. Quando fu del tutto oltre la soglia, nella penombra, rallentò e con l’indice segnò ai civili che stavano al di là della porta di restare calmi. «Conto sette persone all’interno.»
    Il servo-teschio ruotò uno dei suoi obbiettivi nella stessa direzione. Un sottofondo di statica crepitò a mezz’aria e Ikaròs digrignò i denti.
    «Hai acceso la termica, vero?»
    «Raggi-x», replicò Zhì con candore, stringendo le spalle contro la giacca anti-schegge. Polvere, nebulizzato di Promethium esausto e residui di strada l’avevano ingrigita ulteriormente. Tutti loro avevano un che di straccione addosso, a pensarci bene. Quale unità, impegnata ad avanzare, non sembrava malmessa? «Confermo sette anime all’interno. Non sono ologrammi.»
    Ikaròs sbatté le palpebre, staccandosi d’un palmo dall’obbiettivo del las-lungo di precisione. Ancora nessun segno dell’innesco e del detonatore. Pulì la lente con un panno apposito, che teneva nel taschino della giacca anti-schegge, quindi fece ritorno al suo lavoro.
    «Chyz, Zhì...», sussurrò Ièn sul sistema a onde-corte, «tante grazie per aver fritto i miei globuli bianchi.»
    «Quelli e le palle», s’aggiunse Tiber, dalla prua dello Hypaspista.
    «Ah, sì. Anche quelle.»
    «Che drammatico!»
    «Già», le fece eco Quarta, quasi ridendo sotto i baffi. «Di che ti lamenti? Non sono neanche tre-punto-sei roent’.»
    Ritornando in sella al mirino, Ikaròs verificò prima di tutto che la sicura fosse inserita. Lo era. Bene. Riportò Ièn nel riquadro, facendogli segno con l’altra mano che era tutto sotto controllo.
    Non fare cretinate, phrà…
    Ancora un passo, poi il commilitone si fiondò chino a terra. Il filo d’innesco gli era proprio davanti, teso come un muscolo. Nella penombra, era visibile solo se preso in controluce. Era posto a poco più di un metro e settanta d’altezza.
    «Non ci sono mine a terra.»
    Grazie alla Sacra Terra per i separatisti incompetenti! Prima di sorridere, Ikaròs sentì una spina di dubbio pungergli la nuca. Era così, oppure non ne avevano messe perché non servivano? Con un filo così basso, la trappola doveva essere stata progettata sia per mezzi che personale appiedato.

    Sempre stando chino, Ièn sorpassò il filo e avanzò di due passi in più, portandosi all’esatta altezza della porta tagliafuoco. Da una delle tasche dei suoi calzoni trasse un cilindro metallico, corto e armato in cima di una sicura.
    Accostò il pollice al meccanismo d’innesco, pronto a farlo saltare e rilasciare il contenuto all’interno.
    «E quello come dovrebbe aiutarci?», gli chiese Hahàva, rompendo il silenzio vox.
    «A dire il vero, non lo so. Sto pensando.» Posò il cilindro sull’asfalto e, orientato all’indirizzo della porta, prese a tamburellare sulla cassa del suo Accatran. Guardò a destra, incrociando lungo la parete con la torcia innestata lungo l’elmetto.
    «Però so che è una trappola.»
    «Qiqtà, Ièn», esordì Quarta. A passi lenti era tornato sullo scafo dello Hypaspista. Si muoveva, ora, per avvicinarsi a Jason, che se ne stava dietro lo scudo balistico. «Certo che è una trappola. Zhì, hai una mappatura del cielo sottomano?»
    «Sì, ma è di prima. Adesso ho solo il radar.»
    «Tienilo acceso», gli disse Markhairena, spalleggiando Quarta. Registrò la posizione del primo con un dardeggio del capo e tornò rapido a tenere d’occhio la porta incassata nella colonna. Ièn lo superò, camminando piano e guardingo.
    Esalato il fiato che aveva nei polmoni, Ikaròs allineò l’occhio al puntatore. Rintracciò il servo-teschio, tornò alla posizione del filo d’innesco e lo studiò con un passaggio orizzontale, metodico e lento. Pareva leggero fil di ferro, del tipo che uno strattone abbastanza forte avrebbe potuto strappare in due. Quale che fosse la trappola, lì, non doveva innescarsi da sola per un colpo di vento più brusco della norma.
    «Sei sicuro sia un rasoio?»
    «Beh’, a occhio la conformazione è quella.»
    Non erano parole molto rassicuranti, a dirla tutta. Ma se davvero era un rasoio, finché non spezzavano il filo d’innesco non rischiavano niente.
    Approfittando della luce che gli offriva Ièn, Ikaròs abbassò il suo tiro al fondamento della parete di destra. I blocchi di cemento armato scorsero davanti a lui, regolari e noiosi. Su ciascuno era impresso un simbolo, una spiga di grano dentro un goniometro. Uno stemma di gilda, oppure un'insegna corporativa.
    Con ogni probabilità, i costruttori non avevano idea che il loro edificio si trovasse lungo la linea del fronte. E non serviva nemmeno che lo venissero a sapere, dopotutto.
    Il marcatore toccò l’ultima fila di blocchi, quella innestata nella carne della superstrada provinciale.
    Sbatté le palpebre.
    «Ièn, alza la torcia.»
    «In che direzione?»
    «Ore Quattordici, in alto. Non più di mezzo braccio all’interno.»
    Il commilitone eseguì, portando la torcia a centrare la sua luce su di una crosta nella parete. Chiuso l’occhio sinistro, Ikaròs regolò il focus del suo puntatore con un giro di rotella. La crespa s’ingrandì, delineandosi in maggiori dettagli.
    C’era un’ombreggiatura umida, lì.
    «L’ho trovato.»
    Schioccando le dita con fin troppo entusiasmo, Aurelios gli offrì un pollice alzato. «Marcalo.»
    «Plvs-plvs, luci accese in tre… due… uno...»
    Il puntatore laser piantò un singolo tondino russo sulla macchia umida, non più di mezzo metro dalla base dell’incasso nell’asfalto. In linea d’aria, era diagonale rispetto ad una grata di scolo. Tenuto il puntatore in posizione per alcuni secondi, Ikaròs si staccò dal fucile e sbatté le palpebre. Grazie al bipede di supporto, il marcatore era fisso in posa.
    Vi fece ritorno alcuni attimi dopo, partendo dalla macchia umida e trovandone il centro esatto. Lì la parete era un po’ grattata. Non era in precisa linea d’aria con il nastro, ma quello non era fondamentale.
    «La grata di scolo sarebbe troppo ovvio, ma...»
    Guidò il marcatore ad illuminarla. Legato ad una delle ghiere, sottile non più di un millimetro, c’era un doppio circolo di filo d’argento. Un angolo retto lo legava al filo centrale, ma chi l’aveva arrangiato si era preso la briga di metterlo in penombra, lontano da possibili colpi di luci.
    Non abbiamo a che fare con coscritti, qui…

    «Valor-Com, qui Vang-Primus. Valor-Com, chiedo replica, priorità vermillion.»
    Ikaròs ingollò un sorso dalla sua borraccia. Dopo tutto quello scrutare e guardare, gli era salita in gola una sete bruciante. Ad ogni modo, quella trappola era fin troppo architettata per essere opera di due o tre squadre di fantaccini scalzi.
    Non era invisibile, sì. Per come l’avevano nascosta, un’unità attrezzata a dovere avrebbe potuto individuarla e disarmarla, oppure passare al di là e continuare sulla propria strada. I civili erano stati intrappolati per costringere eventuali soccorritori a rimanere bloccati, tagliati fuori dalla copertura del cavalcavia dal filo d’innesco.
    Era tutto per rallentarli?
    «Vang-Primus, qui Valor-Com», rispose la voce di Yeren, la specialista operatrice vox della squadra comando del colonnello. «Chiediamo una reiterazione. Vermillion, confermate?»
    «Sì, confermo vermillion.»
    La comunicazione s’interruppe per due secondi, dopo i quali Yeren tornò a farsi sentire: «Ricevuto e recepito. Avanti, Vang-Primus.»
    «Valor-Com, abbiamo una situazione», scandì Tiber, digitando una stringa di pulsanti sulla tastiera del suo vox portatile. «OEI, lato destra del cavalcavia PODA/205-SO.»
    «Ricevuto, Vang-Primus. Inoltriamo posizione e situazione. Altro?»
    «Abbiamo dei civili bloccati sul lato sinistro. Sette. Quattro donne, due bambini e un uomo anziano.», rispose Tiber, occhieggiando al cavalcavia di fronte alla prua dello Hypaspista. «Sono stati chiusi dall’esterno. Siamo allo scoperto. Fornite istruzioni, plvs
    «Vi inviamo dei genieri e del supporto. Mantenete la posizione corrente.»
    «Ricevuto, Valor-Com. Manteniamo il sito.»
    «Sì. Lasciatelo solo se soggetti ad un attacco che non potete respingere.»
    «Ricevuto. Status del cielo?»
    Tremori lontani squassarono il fronte nuvoloso, puntellato e dispersivo, che placcava i raggi dei due soli di quel sasso infreddolito.
    Al di là delle nubi, il lento orbitare di Hervara-IVA stava insorgendo massiccio. Non era mai stato prima su di un pianeta con una co-orbita gemella, a dire il vero. Gli faceva senso vederlo, così grande e simile eppure lontano. Durante il giorno, Hervara-IVA giganteggiava su tutto il resto.
    «Status positivo. Abbiamo un reconcerebrus a portata, vi dovrebbe passare sopra a breve. ETA due minuti e quindici.»
    «Ricevuto. Faremo il possibile per non abbatterlo.»

    Il reconcerebrus fu preciso. Arrivò due minuti e quindici secondi dopo, sfrecciando sopra al cavalcavia. Il ruggito del suo turbo-jet si stinse in eco sempre più lontane, dirette in virata prima a nord-ovest e poi di ritorno a sud.
    Come sparì, così Tiber prese a palleggiare il comunicatore del Vox.
    «Vang-Primus, abbiamo registrato la vostra posizione.»
    «Ricevuto», scandì Tiber in risposta. «Disposizioni sul procedere?»
    «Attendete l’arrivo degli artificieri per il disinnesco dello OEI. Passo e chiudo.»


    Reconcerebrus: è un drone-servitore, non dissimile in spirito da un servo-teschio. Il corpo è quello di un drone ad alta velocità, di solito con dell'armamento per ingaggiare eventuali intercettori nemici, ma la CPU di bordo è fornita da un cervello umano. Ora, possono essere cervelli clonati a catena così come piloti veterani che vengono...recuperati per continuare a servire.

    Qiqta: banane. Qiqta viene da chiquita. Come sia arrivato nell'Elysiano basso gotico è uno spiegone che non sto a fare in dettaglio, ma funzionalmente è un rimasuglio linguistico del 32esimo secolo che ha subito uno scivolamento semantico, passando dall'indicare il brand all'indicare il prodotto in sé.

    Hervara-IVA/IV-B: Hervara IV è un sistema di orbite binate. Con pianeti rocciosi non sono comunissimi, ma è una situazione non tremendamente dissimile da quella che sussiste in Trappist. I due pianeti hanno orbite reciproche l'uno attorno all'altro mentre orbitano attorno alla stella. Questo causa mareggiate di notevole ferocia, ma di notte si possono vedere le luci dell'altro pianeta.

    Vermillion: dii solito, vermillion è il massimo grado d'allerta.
     
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15 replies since 3/2/2024, 14:46   1952 views
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