La saga di Umberto Sgarri

Un soldato imperiale, un ubriacone tileano, un eroe da osteria... Uberto Sgarri è tutto questo ed altro ancora

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    Ladruncolo di strada

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    Buongiorno a tutti!
    Vorrei proporre di seguito la prima parte della mia saga che vede protagonista appunto Umberto Sgarri.
    I commenti sono sempre graditi!


    Umberto Sgarri sospirò ed il suo fiato si condensò formando una nuvoletta di vapore nella fredda mattina d’inverno. Il tileano si alzò dal ceppo di legno su cui era seduto e si stirò le membra mugugnando di dolore. Maledetta guerra, toccava farla negli angoli più schifosi della terra, pensò. Con fare stanco, per quanto fosse prima mattina, Umberto si avvolse nel suo mantello di lana, ormai troppo stracciato per essere ricucito, e si avviò verso i carri delle salmerie. Gli Haflings si prodigavano per fornire ai soldati una brodaglia ricavata da resti di interiora, ossa, cortecce ed altri ingredienti sulla natura dei quali mantenevano un discreto riserbo. Umberto aspettò il proprio turno battendo i piedi sul terreno gelato, nel vano tentativo di scacciare il freddo. Imprecò selvaggiamente quando la suola di uno stivale si staccò, lasciandolo praticamente a piedi nudi. Gli uomini erano molto nervosi, da oltre un mese non ricevevano la paga e da quasi due settimane il rancio aveva smesso di arrivare. Non per questo, tuttavia, si era interrotta la marcia in quelle lande ghiacciate e ostili. Umberto pensava che avrebbero finito per arrivare in capo al mondo a forza di marciare. Finalmente il tileano ricevette la propria razione e ne ingollò una generosa sorsata. Gli occhi gli si riempirono di lacrime per il disgusto, ma lui si sforzò di mantenere il liquido all’interno del corpo; non avrebbe avuto altro pasto fino a sera e poi era quasi caldo. Non prima di aver maledetto per l’ennesima volta la guerra, Umberto tornò alla sua tenda. I sette lancieri con cui divideva l’angusto riparo avevano già provveduto a smontarla. Il tileano indossò la corazza e l’elmo, facendo una smorfia quando l’imbottitura interna di questo gli sfiorò la tempia sinistra. Per sicurezza si controllò la fasciatura attorno alle tempie, ma non c’era da preoccuparsi, il tessuto insanguinato ed irrigidito dal freddo non era bagnato. Un compagno gli diede una pacca sulla spalla e disse con aria sconsolata –Berto, c’è l’adunata, lo senti il tamburo?- Umberto si voltò, il soldato era un veterano proveniente dal Reickland, un valoroso dal volto scavato e solcato di cicatrici. –Si torna a casa?- Chiese sapendo già la risposta. Confermando il sospetto del tileano, l’altro rispose –No, il sergente fa segno di incolonnarsi fronte a Nord, si continua-
    Umberto annuì dirigendosi verso i commilitoni. –Muoviti balordo!- Gli gridò il corpulento sergente. Sgarri sospirò e si mise in linea. Non aveva mai capito se quel sergente fosse un uomo tutto d’un pezzo o semplicemente uno stupido; tutti sapevano che il tileano era stato trasferito nei lancieri dal corpo degli spadaccini imperiali dopo che aveva ucciso in duello il proprio sergente, così come tutti sapevano che l’unico motivo per cui non era ancora stato promosso a grandispade era la sua proverbiale insofferenza alle regole. La colonna in marcia aveva l’aspetto di una colonna di profughi; davanti i cacciatori, tremanti di freddo, procedevano sparpagliati, esplorando ogni fosso ed ogni macchia, per permettere alla colonna di avanzare sicura. Dietro venivano loro, i lancieri, scortati da due distaccamenti di archibugieri. Poi venivano i carri delle salmerie, tirati da quelli che forse un tempo erano cavalli e spinti dai mezz’uomini, per farli avanzare nella neve gelata. In retroguardia quelli che erano stati splendidi cavalieri, si rannicchiavano nelle pellicce, così che sembravano signore imbellettate in sella a scheletrici destrieri. In mezzo a tutti lui, Maxwell Myrikov, capitano dell’Impero e dubbio stratega, rabbrividiva nelle sue preziose vesti. Ancora più indietro avrebbero dovuto esserci un contingente di alabardieri e tre pezzi d’artiglieria, ma gli alabardieri erano stati annientati in una recente imboscata dei Norsmanni e l’artiglieria era stata abbandonata per muoversi più rapidamente. –Piomberemo loro addosso come falchi- Così aveva detto il Capitano. Tutto quello che avevano fatto in un mese, invece, era stato perdere un’unità di alabardieri, marciare e, in molti casi, morire di stenti. A metà mattinata iniziò a nevicare. Non era una soffice nevicata, come quelle che avvolgevano le montagne tileane in un candido manto ed alle quali Umberto era tanto abituato, era una nevicata violenta, con cristalli di ghiaccio che pungevano il viso arrossato e rendevano più penosi gli sforzi dei soldati per avanzare. Sgarri fu tentato di imitare i molti soldati che, esausti, gettavano via la spada, considerata un peso inutile per un lanciere. Avanzarono per circa quattro ore senza parlare, ognuno rinchiuso nel suo regno di sofferenza e fatica, poi finalmente il cielo si aprì, mostrandosi plumbeo e minaccioso, ma smettendo di scaricare la sua rabbia sui servi dell’Impero. Mano a mano che le nuvole si ritiravano, gli uomini poterono vedere la collina che avevano appena superato, l’accenno di fosso in corrispondenza del fiume gelato che correva alla loro destra, le nere sagome che avanzavano verso di loro. Le nere sagome dei cacciatori che cadevano a terra, i norsmanni che avanzavano. -I Norsmanni!- Gridò qualcuno. Il sergente dei lancieri gridò ai suoi di retrocedere per proteggere le salmerie che, nel frattempo, si stavano ritirando verso la collina, fiancheggiate dagli archibugieri. I cavalieri, guidati da Myrkov in persona, lasciarono la strada battuta dai fanti per prendere il nemico sul fianco. “Idea geniale” Pensò Sgarri “Peccato che ci sia la neve” Poi il tamburo scosse i suoi pensieri e, da esperto soldato qual’era, prese il suo posto in terza riga, abbandonando a terra il mantello. Un gruppo di norsmanni a cavallo raggiunse il terreno battuto dai fanti e si lanciò alla carica, seguito dai predoni a piedi. Nel frattempo i cavalieri imperiali avevano raggiunto il fianco dello schieramento nemico, ma i norsmanni avevano scelto bene la loro posizione. I cavalieri, infatti, finirono in un fosso, dove la neve arrivava al ventre dei cavalli. Prima che potessero uscire da quell’incomoda situazione, vennero raggiunti da una ventina di norsmanni. In quell’occasione le magnifiche armature si rivelarono fatali per i cavalieri e lo stesso capitano venne trascinato nella neve e massacrato come tutti gli altri. Sgarri imprecò, i nemici erano vicini, molto vicini. La prima linea venne schiantata dai cavalli, mentre la seconda si difendeva come poteva dai mazzafrusti. Con gesto calmo, Umberto puntò la lancia al petto di un cavaliere che roteava un’ascia. Affondò il colpo e ritrasse velocemente l’arma per evitare che il nemico, contorcendosi, imprigionasse la lancia. Sgarri aveva combattuto in molti posti durante la sua decennale carriera di mercenario, sapeva quindi che l’armatura di un cavaliere imperiale era più debole sotto le ascelle, mentre i cavalieri bretonniani andavano colpiti al collo, gli orchi, invece, andavano feriti alle gambe, perché si inginocchiassero scoprendo i punti vitali. Contro i norsmanni non serviva quest’esperienza, essi combattevano a petto nudo. La seconda linea cedette e Sgarri vide distintamente il cranio del sergente essere colpito da un mazzafrusto. La testa nuda volò in mille pezzi. “maledetto idiota” pensò il tileano “quante volte gli ho detto di portare l’elmo come tutti gli altri?!”. Umberto si spostò di lato, coprendo lo spazio lasciato vuoto dal suo amico del Reickland, ucciso da un giavellotto, e protese la lancia, uccidendo al contempo un cavallo ed un predone. Il tileano lasciò l’arma nel cumulo di corpi e sguainò la spada, arma con la quale si sentiva molto più a suo agio. Alcuni lancieri avevano abbandonato lo schieramento ed Umberto si voltò per ragguingerli, era un buon momento per raggiungere le salmerie. Quello che vide lo fece raggelare. I carri, troppo pesanti per il ghiaccio del fiume, erano precipitati nelle sue nere acque e molti archibugieri stavano seguendo il loro crudele destino urlando come disperati, prima di essere inghiottiti dalla morte. Frattanto un nutrito gruppo di predoni stava per tagliare la strada ai lancieri in fuga. Gli archibugieri tirarono, ma ben poche delle loro armi fecero fuoco. –Formate un quadrato!- Gridò Sgarri. _Presto! Presto!- Troppo pochi lo ascoltavano. Il tileano vide l’ombra di un’ascia che calava su di lui. Con una veemenza che solo un uomo in pericolo di vita poteva avere, Umberto afferrò al volo il polso del cavaliere e lo disarcionò con uno strattone. Il norsmanno rotolò nella neve e Sgarri lo infilzò al collo, senza neanche rallentare la sua corsa. Non aveva ancora capito come poteva essere riuscito in un gesto simile, ma al momento aveva altri problemi. Capendo che una strenua resistenza era la sola possibilità di salvezza, i soldati si erano alfine riuniti in quadrato. Umberto saltò il primo lanciere in ginocchio e rotolò nel centro del quadrato bestemmiando Sigmar per la suola del suo stivale che, correndo, gli aveva scavato un solco sanguinolento nel piede. Solo quando ebbe finito di imprecare, il tileano si accorse che tutti gli sguardi erano per lui, si rese improvvisamente conto che era stato lui a dare gli ordini per la difesa, ora tutti si aspettavano che fosse lui a guidarla, lui, un’umile fante imperiale. Si guardò attorno spaesato, pronto a difendersi dal secondo assalto nemico che tardava ad arrivare. Lui. Lui che si era arruolato per pagare i debiti di gioco, a lui toccava la difesa. Guardò i volti segnati dei soldati e vi lesse la paura… e l’ammirazione per lui. Si guardò i piedi e proruppe in un’imprecazione; si era staccata anche l’altra suola, maledetta guerra!

    Sgarri si guardò attorno, il quadrato era stato fatto malamente, non avrebbe retto ad un altro assalto. Tuttavia i norsmanni sembravano interessati solo a depredare i morti. “Buon acciaio imperiale” Pensò il tileano “per loro è come l’oro” Sputò in terra pensando che non avrebbe mai potuto pagarsi da bere con una borchia e subito sogghignò per la stupidità di questa constatazione. Incredibile a quali idiozie pensino le persone nei momenti più critici. –Comandi- Una voce nervosa riscosse il tileano. A parlare era stato un archibugiere dalla divisa ornata di arabeschi dorati. –Comandi, Capitano Tharnem, della compagnia dell’orso grigio- Sgarri scosse la testa confuso. Non era abituato ad essere al comando e, soprattutto, non era abituato ad avere un ufficiale a rapporto. Di solito era lui a rapporto da qualche ufficiale, per prendere la sua razione di frustate o di lavori sporchi. S’impose di calmarsi, doveva solo cedere il comando a quel capitano e tutto si sarebbe risolto, avrebbe potuto tornare nei ranghi a combattere come si confaceva ad un balordo ubriacone di Tilea. Cercò le parole formali per dire all’archibugiere che il comando passava a lui ma non riusciva a ricordarle, in realtà non era nemmeno sicuro di dover cedere il comando, forse il grado dell’altro era sufficiente a garantire che non vi fossero fraintendimenti. Così lui rimase muto mentre, a sorpresa, il capitano parlò ancora –Signore, cosa facciamo? Attendiamo disposizioni per lo schieramento, se volete un mio parere così non reggerà- Sgarri ingoiò. Quel’ufficiale sembrava ben contento di delegare a lui l’incombenza di dare gli ordini in quel grave momento. Inspirò a fondo l’aria gelida. Sospirò. –Capitano, voi comanderete tutti gli archibugieri, anche quelli non della vostra compagnia.- L’ufficiale annuì e Sgarri si guardò attorno in cerca dell’uomo giusto per guidare i lancieri. Non ve n’erano. –I lancieri li guiderò personalmente- Dichiarò. Sotto le disposizioni del tileano e con sorprendente docilità, i soldati formarono un nuovo schieramento. Gli uomini ancora armati di lancia erano intervallati dai compagni armati di spada o di armi improvvisate recuperate sul momento. Gli archibugieri in seconda linea avrebbero fatto fuoco nello spazio tra le teste dei compagni. Tuttavia la linea non era completa, poiché erano rimaste poche lance. Il nemico si era allontanato di alcune centinaia di metri ed Umberto decise di rischiare. Condusse un gruppo di dieci uomini fuori dal quadrato in cerca di armi, possibilmente lance, di scudi e di mantelli. Non poterono recuperare molto poiché i predoni avevano già spogliato la gran parte dei cadaveri, Comunque il tileano riuscì ad appropriarsi di una lancia e di un mantello di pelliccia appartenuto ad un norsmanno. Si soffermò ad osservare il cadavere, era un uomo giovane dalla chioma bionda, ucciso da un proiettile in fronte. Era mingherlino per essere un norsmanno. Sgarri stimò che dovesse essere più o meno della sua corporatura. Finalmente avrebbe potuto cambiare quegli odiosi stivali. Si chinò sul cadavere per togliergli i calzari, ma un lanciere lo bloccò con un grido. Un nutrito gruppo di norsmanni stava correndo verso di loro. Sgarri imprecò e gridò di ritirarsi e, quando fu di nuovo tra i suoi, stava ancora imprecando contro il nemico che gli aveva impedito di impadronirsi di quegli stivali. Per questo motivo non si accorse subito del falò che ardeva al centro del quadrato. A bruciare erano le uniformi stracciate dei caduti, che ora giacevano nudi e scomposti. –Erano l’unico combustibile disponibile- Si affrettò a giustificarsi il capitano Tharnem. Sgarri guardò sogghignando l’ufficiale che gli spiegava come il fuoco fosse il modo più spiccio per avere sempre micce di riserva accese e come una lama scaldata tra le fiamme fosse il sistema più veloce per arrestare un’emorragia. Era un uomo minuto, di media altezza e molto nervoso, sempre intento a raddrizzarsi i tondi occhialini. Il tileano si grattò la barba rossa, lunga di qualche giorno ed annuì. –Ottimo lavoro- Disse distrattamente, calmando subito la trepidazione del capitano. Le lance recuperate furono distribuite tra i soldati peggio armati e si corresse lo schieramento in modo che non vi fossero punti deboli. Il nuovo mantello era caldo e confortevole, anche se odorava di selvatico, era un bel passo avanti rispetto a quello di prima. –Che ora sarà?- Domandò Sgarri senza rivolgersi a nessuno in particolare. –Poco oltre mezzodì- Rispose Tharnem maneggiando un orologio da taschino. Il tileano si chiese se esisteva una domanda alla quale l’archibugiere non sapeva rispondere. Rabbrividì e volse lo sguardo al cielo plumbeo. –Nevicherà ancora?- Chiese sapendo chi gli avrebbe risposto –Non saprei signore, ma non credo, non prima di domani comunque- Il discorso rimase in sospeso; entrambi sapevano benissimo che, con ogni probabilità, non sarebbero arrivati al domani. –Signore- Disse un archibugiere rivolto al Capitano –Pensate che ne usciremo?- Il piccolo ufficiale sorrise rassicurante –Ma certo, mi sono trovato in situazioni molto peggiori! E ne sono sempre uscito!- Il soldato sorrise rincuorato e tornò al suo posto. Il capitano parlò in un soffio, in modo che lo sentisse solo Sgarri –In realtà questo è il mio primo combattimento, non ero mai uscito prima dalla mia guarnigione. Il tileano sorrise divertito e posò la mano sulla spalla dell’ufficiale. –Arrivano- disse qualcuno. Era una liberazione, finalmente l’attacco che li avrebbe sottratti alla sfibrante e gelida attesa cui erano sottoposti. Sgarri si passò le mani sulle terga riscaldate dal falò e sguainò la spada. I norsmanni temevano l’effetto del quadrato sulla cavalleria, per cui avanzavano a piedi. Umberto fece un rapido conto, erano uno contro venti a favore del nemico. Bruttissima situazione. –A tiro!- Gridò Tharnem –Pronti al fuoco!- Gli archibugieri soffiarono sulle micce per ravvivarne l’innesco. –Puntare!- L’ufficiale aveva messo da parte il suo nervosismo, divenendo d’un tratto calmo e preciso, tanto da sembrare una macchina. –Fuoco alle polveri!- Tutti gli archibugieri tirarono la leva di scatto e scomparirono in una sola enorme voluta di fumo, mentre un tuono lacerava l’aria. Quando la nube si fu diradata Umberto poté vedere che il gruppo di attaccanti si era sfoltito. Ma non abbastanza. Non abbastanza. –Saldi!- Gridò il tileano –Pronti a reggere l’urto!- Le lance si levarono e gli scudi si serrarono in attesa dell’impatto. Un barbaro mulinò il mazzafrusto, imitato da molti altri. –Ricaricare!- Gridò il capitano mentre strappava una cartuccia con i denti.

    I mazzafrusti si abbatterono con violenza, mozzando lance ed arti e frantumando ossa e scudi. La prima linea cedette di schianto e la seconda si aprì lasciando passare alcuni nemici. –Fuoco!- Diversi norsmanni armati di mazzafrusto caddero centrati dal micidiale tiro a breve distanza. Il capitano Tharnem roteò il pesante archibugio come una clava e mandò un nemico a ruzzolare nel falò. Le urla del barbaro si persero nel fragore della battaglia. Sgarri si abbassò fulmineo, schivando un mazzafrusto ed infilzò il nemico che lo maneggiava. Sentì l’altro fremere, ma lui, da esperto soldato qual’era, aveva già addocchiato un altro avversario. Sfilò l’arma dal cadavere e si preparò ad affrontare il nemico seguente. Solo quando l’ascia dell’altro parò il suo fendente Sgarri si accorse che aveva reagito come un soldato e non come un comandante. Arretrò di due passi, lasciando che fosse un altro a battersi con il norsmanno. La linea aveva ceduto su tutti i lati e la battaglia si era frammentata in decine di duelli, dove la forza fisica e la schiacciante superiorità numerica del nemico non lasciavano scampo ai soldati. –Riformate i ranghi!- Umberto aveva l’impressione di urlare al vento –Nei ranghi maledetti bastardi, tornate in riga stupidi buffoni!- Era stata come un’illuminazione, il tileano si era improvvisamente ricordato che, negli scontri più cruenti, a spronarlo non erano gli ordini ma gli insulti dei sergenti. Confermando l’intuizione del tileano, i soldati si raggrupparono, formando un rozzo quadrato. –Rimanete…- Ansimò Sgarri mentre evitava di scarsa misura una spada. –…In linea!- Gridò mentre mozzava la mano che reggeva l’arma. Il tileano schivò ancora un’ascia; era circondato da nerborute maschere d’odio barbute. Si chinò a raccogliere lo scudo di un morto, ma sapeva che non sarebbe bastato. Sin dai suoi primi scontri con i briganti sui monti tileani, il giovane Sgarri aveva appreso che, se si doveva combattere con più avversari, era fondamentale colpire per primo. Così si gettò verso il nemico di fronte a lui. Parò la spada del norsmanno con lo scudo ed affondò la sua arma, ma fallì il colpo. Imprecò tra i denti aspettandosi un colpo mortale, ma uno dei nemici alle sue spalle crollò al suolo e gli altri si voltarono per affrontare la nuova minaccia. Sgarri sentì un violento colpo sulla corazza e cadde al suolo. Il grosso barbaro lo sovrastava, ma lui parò con lo scudo ed affondò la lama nella coscia nuda, recidendo l’arteria femorale. –Per Ulric!!- Gridò a pieni polmoni, esattamente come aveva fatto due anni prima uccidendo un Troll assieme al suo reggimento di spadaccini del Middenland. In realtà Sgarri non credeva in Urlic come suo dio, ma per lui era un punto di contatto col suo amato gruppo di spadaccini, con i quali aveva combattuto per sei anni e con i quali aveva diviso punizioni e medaglie in centinaia di scontri. –Signore!- L’urlo di Tharnem riscosse il tileano. Il capitano era scosso e gli occhialini storti sul naso adunco. Tuttavia le mani dell’ufficiale erano occupate da una coppia di pistole fumanti, per cui fu con il polso che tentò di raddrizzarli. –Signore, non possiamo farcela, sono troppi- -Grazie di avermi reso partecipe dei tuoi ottimistici ragionamenti- Rispose seccato lo spadaccino. –Quello che intendevo…- Riprese imperterrito l’ufficiale, col tono di un insegnante di scuola elementare che spiega l’alfabeto, quasi non si accorgesse degli arti mozzati che volavano tutto attorno -…è che credo dovreste sfidare il loro capo. Vedete, i norsmanni hanno l’abitudine di ritirarsi per eleggere un nuovo capo quando uno cade in battaglia. Si tratta di un rituale piuttosto lungo che passa attraverso combattimenti rituali e gare di lotta… Per cui potremmo avere la possibilità di allontanarci- Sgarri sbuffò, un po’ seccato da quella lezione e un po’ preoccupato per i guerrieri che si stavano facendo largo verso di lui. –Signor genio saprebbe anche dirmi come cavolo faccio a riconoscerlo in mezzo a questa marmaglia di topi di fogna?- Chiese sprezzante. –Basterebbe chiamare una sfida, lui l’accetterà di certo- Fu la timida risposta. Sgarri rise, poi si arrestò sconcertato –Non mi dite che conoscete la loro lingua…- L’altro gongolò e lui bestemmiò Sigmar. Quant’era saccente questo dannato capitano. Seguendo le istruzioni dell’archibugiere, Sgarri prese la spada per la lama e la sollevò sopra la testa urlando a squarcia gola la parola nordica per “sfida”. Con sua stessa sorpresa i nemici non lo attaccarono e, anzi, il combattimento ridusse la sua intensità fino a placarsi del tutto, perché tutti potessero vedere. Senza perdere tempo, il capitano approfittò della tregua per formare una nuova linea di difesa e per permettere ai feriti di medicarsi. Dai ranghi dei norsmanni emerse una specie di gigante barbuto, alto una spanna più di Umberto, che già svettava tra gli uomini, e largo oltre il doppio. Il mostruoso individuo maneggiava un’ascia ed una inquietante mazza ferrata con fare sicuro. Sgarri comprese improvvisamente le conseguente del suo gesto. I norsmanni lo avevano circondato, rendendo vano il piano del capitano che prevedeva di uccidere con un colpo di archibugio il nemico. Se l’avesse saputo, il tileano sarebbe stato contrario, era pur sempre uno spadaccino imperiale, anche se distaccato presso i lancieri. Tuttavia battersi contro quell’orso armato fino ai denti non era esattamente un’opzione allettante. Purtroppo non ne aveva altre. Con orrore, il tileano si accorse che gli tremavano le gambe, e non era colpa del freddo pungente. Sospirò. C’era una sola cosa da fare, ma dubitava che lo avrebbe aiutato. Con gesto automatico lo spadaccino batté l’arma sullo scudo ed urlò –Ulric!- Improvvisamente si sentì spalleggiato dai suoi compagni ed un coraggio folle si impadronì di lui. Il mondo ora era un sogno di sangue, un unico indistinto desiderio di morte, come quella volta nelle pianure di Kislev. Stava ancora inseguendo visioni lontane quando vide, come in un sogno, l’ascia del nemico passargli a pochi centimetri dalla testa, che si era scansata in automatico. Rispose, e poi ancora e ancora, fino a passare in vantaggio. L’altro colpì con la temibile mazza, ma Sgarri sfruttò la potenza del colpo, che gli frantumò lo scudo, per ruotare su se stesso ed imprimere più potenza nel colpo di spada che arrivò alla nuca del nemico. Il colpo fu così forte da mozzare di netto la grossa testa pelosa, che rotolò nella neve. Prima ancora che il corpo smettesse di fremere, Sgarri aveva già sollevato al cielo il macabro trofeo, urlando per l’ultima volta il nome del dio lupo. I predoni si guardarono l’un l’altro per alcuni istanti, indecisi sul da farsi, poi si ritirarono in silenzio, lasciando a terra decine di morti e feriti di entrambe le fazioni. Dalla linea imperiale Osvald Tharnem guardò esterrefatto il tileano che avanzava verso di lui reggendo una testa mozzata. Durante la colluttazione, un ciondolo che Sgarri portava al collo con un laccio di cuoio era uscito da sotto la giubba e tintinnava sulla corazza ammaccata ed insanguinata. L’archibugiere si avvicinò e lo prese tra le dita. Era un piccolo teschio d’argento, non più grande di una moneta, ma si distinguevano due lettere, KH. –Non saranno quelle che penso- disse con tono ammirato. –Era il ciondolo di Kurt Helborg, me lo diede dopo una battaglia a Kislev- Rispose asciutto lo spadaccino –Sarebbe un grande onore per un cavaliere, per uno come me è solo il ricordo di una grande sudata con un freddo maledetto- Sgarri si allontanò verso il suo mantello e gettò via la testa. –Muoversi!- Gridò –Potrebbero tornare, andiamo ad arroccarci sulla collina- I soldati scattarono in tutte le direzioni per eseguire l’ordine, e Osvald sorrise. Se fosse stato solo quello, Sgarri l’avrebbe venduto da tempo. Forse ci si poteva aspettare più di un mediocre servizio da un ubriacone tileano con il vizio del gioco.
     
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  2. Krakamazov
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    mi piace, mi piace! aspetto con impazienza il seguito
     
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    Servo leale di Kilgore, unico vero Colonnello

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    fantastico! :clap:
    bel personaggio e trama avvincente :see:
    aspettiamo il seguito! :D
     
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    Ladruncolo di strada

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    Grazie mille!
    Scusate il ritardo, ma ecco a voi il seguito!

    Il gruppo di soldati imperiali aveva raziato stivali e pellicce ai cadaveri, gli abiti dei norsmanni, infatti, erano molto più adatti a difendersi dal freddo. Ora, stretti nei loro nuovi abiti, lavoravano alacremente per liberare la cima della collina dalla neve che poi usavano per costruire un parapetto.
    Sgarri lavorava con gli altri, in teoria non sarebbe stato necessario visto che era il comandante del gruppo, ma lui non si era neppure posto il problema, abituato com’era a sudare tra gli insulti dei sergenti. Si fermò solo quando Tharnem gli picchiettò gentilmente sulla spalla.
    Il capitano sembrava una vecchia signora per via del mantello di pelliccia. Sgarri vide che il capitano gli stava porgendo qualcosa, con un tuffo al cuore riconobbe gli stivali che stava per rubare al norsmanno morto.
    –Credo che questi potrebbero farvi comodo-
    Gli disse timidamente.
    Sgarri lo squadrò stupito, poi prese gli stivali e sorrise.
    –Grazie capitano-
    Sgarri si levò a fatica i vecchi calzari
    –Maledetta guerra!-
    Inveì come suo solito.
    Gli uomini parevano galvanizzati dal fatto di essere ancora vivi ma, non appena ebbero finito di liberare la sommità della collina, si accasciarono sui mantelli, esausti e cominciarono i mormorii. Qualcuno ringraziava Sigmar di averlo risparmiato, altri commentavano che, anche se erano ancora vivi, non lo sarebbero rimasti per molto. A peggiorare la situazione, non avevano nulla da mangiare.
    Il tileano guardava quella banda di disperati in silenzio, seduto sul parapetto di neve. Qualche soldato era riuscito ad accendere un piccolo falò, ma non bastava a scacciare il freddo della sera che avanzava. L’idea era di mandare qualcuno a recuperare la carcassa di un cavallo per sfamare l'unità, ma un gruppo di norsmanni era apparso ed un cordone di nemici si teneva a debita distanza per non essere colpito dai moschetti, ma abbastanza vicino da impedire un’azione come il recupero di un cavallo.
    Sgarri sospirò. Per qualche istante aveva davvero creduto che la sua vita sarebbe finita in quella landa desolata. Forse era il suo destino andare a crepare in qualche schifoso angolo di mondo, il suo amico del Reickland lo diceva sempre che prima o dopo i soldati muoiono in battaglia. Sgarri si passò le mani sui quadricipiti ancora tesi e rivolse mentalmente una preghiera alla memoria dell’amico, ma s’interruppe a metà.
    A che serviva pregare per lui? Oramai era morto.
    Sospirò e promise che, se mai fosse riuscito a portare a casa la pelle, sarebbe andato al villaggio di Sternim a porgere personalmente le condoglianze alla famiglia dell’amico. Pensò alla rubiconda moglie del soldato, che un giorno di primavera gli aveva offerto un pasticcio di carne. Gli sembrava quasi di poterne sentire l’aroma, e di udire le urla dei due figli dell’amico. Si sforzò di ricordare il nome almeno della figlia maggiore, che ormai doveva essere in età da marito, ma non era mai stato bravo a ricordare i nomi.
    In realtà non ricordava nemmeno dove si trovasse esattamente il villaggio, ma probabilmente le sue ossa sarebbero rimaste a congelarsi su quella collina, per cui non era un problema.
    Maledetta guerra, maledetto paese, perché accidenti doveva fare così freddo?
    Ormai la neve aveva assunto un colorito bluastro, mentre le ombre calavano sul mondo. Sgarri si accorse che diversi soldati stavano nervosamente osservando il gruppo di predoni che li accerchiava.
    –Non verranno avanti-
    Cercò di rassicurarli, ma tutto ciò che ottenne fu il grugnito di un paio di soldati.
    Tharnem gli apparve al fianco e Sgarri si chiese se quel dannato capitano avesse per caso dei parenti maghi per come appariva sempre dal nulla, poi si rispose che era dovuto alla sua minuta figura ed alla modesta statura.
    –Signore, posso provare a stenderne uno?-
    Il tileano guardò severamente l’ufficiale. In effetti i norsmanni erano decisamente fuori gittata per i moschetti, ma il capitano brandiva un moschetto Hockland.
    Sgarri meditò un istante, ma si rispose che la distanza era decisamente troppa anche per quell’arma. Per quanto il proiettile potesse arrivare, era impossibile per il tiratore decretare dove sarebbe arrivato e un tiro fallito avrebbe ridotto ulteriormente il morale già scarso.
    Ma il capitano interpretò il suo silenzio come un assenso e cominciò a darsi da fare sull’arma. Sgarri voleva impedirgli di tirare, ma si sentiva la testa vuota e non aveva voglia neppure di parlare, così si sedette ad osservare il piccolo archibugiere.
    Tharnem tolse il panno che copriva il meccanismo d’innesco dell’archibugio e poi la copertura di cuoio che proteggeva il cannocchiale montato sull’arma. Quindi usò un fazzoletto bianco per pulire le lenti di vetro, sia quelle del cannocchiale sia quelle degli occhialini, gesto che strappò un sorriso a tutti i presenti.
    Invece di usare le cartucce preparate che teneva nella cartucciera, il capitano riempì lo scodellino con una polvere di migliore qualità che teneva in un corno, quindi ne versò una ragionevole quantità nella canna.
    Sgarri notò che il viso dell’uomo pareva quasi sognante mentre saggiava con le dita le palle di piombo che teneva nella bisaccia, alla ricerca della più perfetta. L’operazione durò più di un minuto, ma alla fine il capitano parve particolarmente soddisfatto da un proiettile e lo inserì nella canna. Usò il calcatoio per assicurarsi che la polvere fosse ben compressa, quindi poggiò l’arma a terra sul suo mantello e si diresse al falò più vicino, che usò per dare fuoco ad una corda che poi fissò al meccanismo di scatto del moschetto Hockland.
    Il capitano scavò nel parapetto una specie di forcella per tenere ferma la pesante arma, quindi si sedette a gambe incrociate, portandosi il calcio nell’incavo della spalla. Il tiratore si portò la mano sinistra al petto, in modo da tenere il calcio tra il pollice e l’indice, sostenendolo. La guancia del capitano si posizionò alla perfezione sul calcio dell’arma mentre la mano destra si muoveva lenta avvicinandosi alla leva di sparo.
    Le dita affusolate carezzavano il legno di Darkwald come avrebbero sfiorato la pelle di una donna, poi si arrestarono sulla leva. Sgarri rimase stupito dalla dolcezza con cui Tharnem tirò la leva di sparo. La corda incendiata si abbatté sullo scodellino facendo esplodere la polvere che conteneva ed innescando l’esplosione della polvere nella canna. Un boato lacerò l’aria ed il fumo nascose il bersaglio agli occhi del tiratore, ma un grido lancinante confermò la validità del tiro.
    Sgarri vide distintamente un norsmanno che si trascinava con una mano stretta alla coscia sinistra e si concesse un sorriso, mentre i soldati urlavano di giubilo e si complimentavano con il tiratore che era stato quasi gettato supino dal rinculo dell’arma. I norsmanni si allontanarono di alcune decine di metri, inseguiti dagli sfottò dei soldati, mentre Tharnem si alzava e subito si affaccendava attorno al suo amato moschetto.
    Sgarri diede una lieve pacca sulla spalla del tiratore, quindi si diresse verso il lato opposto della postazione; le risate dei soldati e la loro baldanzosa sicurezza lo urtavano, aver piantato una palla nella gamba di un nemico non cambiava per nulla la loro triste situazione e lui cominciava seriamente a preoccuparsi, non che morire lo spaventasse, aveva sempre saputo che sarebbe successo un giorno, ma gli dava fastidio morire a stomaco vuoto. Ormai era scuro, per cui gli uomini si prepararono per la notte e lui dovette disporre le sentinelle, adesso anche la borraccia del liquore era vuota. Maledetta guerra.

    La notte passò gelida come sempre, ma senza guai per il manipolo di soldati imperiali.
    Sgarri aveva fatto due giri di ronda per controllare le sentinelle, per ora sembrava che tutto il gruppo avesse accettato la sua leadership, per quanto gli fossero arrivate voci del malcontento di alcuni lancieri, contrari al farsi guidare da un pluri punito.
    La plumbea alba regalò al mondo la luce sbiadita di un pallido sole, che mostrò un nutrito gruppo di nemici in assetto da guerra. Sgarri si stiracchiò e si mise una mano sul ventre gorgogliante. Non aveva neppure voglia di maledire la guerra, voleva solo un bel piatto di zuppa, o anche un bel pollo con le patate, quelle strane piante che arrivavano dalla Lustria e che nell’Impero erano ancora poco diffuse.
    Pensò ai fianchi tondi di una taverniera che gli porgeva uno stufato fumante e si diede dello stupido.
    Scrollò la testa per scacciare il sonno e si portò la fiasca del liquore alle labbra. Vuota. Lo sapeva già che era vuota, ma era un riflesso condizionato.
    In un impeto di rabbia la scagliò oltre il parapetto.
    –Permettete un consiglio?-
    Chiese Tharnem, apparso alle sue spalle.
    –No- Rispose Sgarri asciutto –Ve lo do io un consiglio, smettete di arrivarmi alle spalle all’improvviso, o la prossima volta vi spezzo il collo-
    E si allontanò lungo il parapetto. Non era proprio dell’umore giusto per sopportare le lezioni del capitano e poi quella voce sempre timida ma gentile lo urtava terribilmente.
    –Ve lo do lo stesso- Rispose l’archibugiere trotterellandogli dietro.
    Sgarri sbuffò e, per un istante, provò il desiderio di scagliarsi sull’ufficiale per mostrargli quanto le risse di taverna gli avevano insegnato. Ma il piccolo ufficiale, ignorando completamente lo sguardo omicida negli occhi scuri del suo interlocutore, continuò a parlare in tono gentile. “Come ad un bambino un po’ scemo” pensò il tileano.
    –Gli uomini sono nervosi, ma ripongono in voi le loro speranze, voi siete un esempio. Un vero comandante dovrebbe dominarsi e non mostrarsi mai arrabbiato o stanco, o perderà il rispetto dei suoi uomini. Il vostro gesto di poco fa, se mi permettete, non è stato una buona mossa, tantopiù che già più di un soldato ha ventilato l’idea di sostituirvi al comando con un candidato più popolare-
    -Che mi frega?!- Rispose irato Sgarri –Se vogliono sostituirmi lo facciano non me ne frega niente, anzi, mi toglierebbero un gran rompimento di scatole. Al diavolo, non sono un ufficiale io! Ogni uomo nasce col proprio destino e comandare altri uomini non è il mio!-
    Ciò detto Sgarri andò a sedersi accanto ad un fuoco, dove un soldato stava usando l’elmo come pentolino per sciogliere la neve.
    –Va bene- Si arrese il capitano –Ma io credo che ci sia più di un semplice soldato in voi-
    -Infatti, dovreste parlare con le ragazze del bordello di Middenehim, siamo in due sotto questa divisa- Confermò Sgarri riscoprendo la sua crudele ironia.
    Alcuni soldati risero alla battuta, ma la gran parte si limitò ad un mezzo sorriso, conscia del mortale pericolo che pendeva sulle teste di tutti.
    Tharnem si allontanò rosso in viso, ma sorridente.
    –Arrivano!-
    Gridò una sentinella.
    –Come sarebbe arrivano?!- Disse esterrefatto il capitano accorrendo già armato.
    –Un procedimento piuttosto lungo eh? Lotte e prove di forza vero?! Ma dove l’avete studiata la cultura di questi vermi?! Guardateli li come corrono!- Ringhiò Sgarri. Tharnem non seppe cosa rispondergli, era sicuro che ci sarebbero voluti giorni, invece i nemici li stavano già attaccando.
    –Non state là impalato Tharnem, mettete i vostri in linea!-
    Il capitano scattò come una molla e cominciò a dispensare ordini a destra e a manca, così che i suoi archibugieri furono pronti in meno di un minuto.
    Sgarri aveva chiamato tutti i soldati sul lato attaccato, tranne tre uomini che aveva messo uno per ogni altro lato. Tharnem s’interrogò per alcuni istanti sul senso di tale mossa, ma capì quasi subito che lo spadaccino lo aveva fatto per tutelarsi da eventuali attacchi alle spalle.
    Astuto.
    Tharnem era in collera con il tileano per come lo aveva trattato, soprattutto in virtù dei rispettivi gradi, ma non poté fare a meno di ammirare la freddezza dello spadaccino che aveva pensato lucidamente pur avendo il nemico quasi addosso.
    –Fate fuoco!-
    Gridò Sgarri.
    –Non ancora!- Corresse il capitano –Quando vedete il bianco dei loro occhi e mirate a quello dritto davanti a voi, che nessun colpo vada sprecato-
    Umberto annuì, il capitano aveva valutato la distanza dal nemico ed aveva capito che c’era tempo per una sola scarica di fucileria, quindi tentava di renderla il più micidiale possibile.
    Ormai i nemici erano ai piedi del parapetto, meno di tre metri dai soldati.
    –Fuoco!-
    La scarica a bruciapelo fu così violenta che i norsmanni colpiti volarono indietro, come tirati da un filo invisibile, e le prime linee dei barbari svanirono nella puzzolente nuvola di fumo. Quasi istantaneamente i lancieri si fecero avanti e gli archibugieri si ripararono dietro i compagni per ricaricare.
    Sgarri ringhiò e menò un fendente contro una sagoma nera che urlò e cadde oltre il parapetto. Con un urlo di sfida un norsmanno si parò davanti al tileano da sopra il parapetto, ma Umberto gli sferrò un violento calcio all’inguine non protetto.
    –Tornatene dal tuo dio nel suo schifoso buco!-
    Gridò mentre spingeva l’avversario giù dal muro di neve.
    La fortificazione costruita dai soldati imperiali si era rivelata una formidabile postazione di difesa. Il pendio, infatti, rendeva difficoltosa la corsa dei nemici che arrivavano già affannati al parapetto, qui dovevano oltrepassare un muro di neve verticale alto oltre un metro, mentre dal lato dei difensori era alto la metà, consentendo ai soldato di battersi al di sopra di esso senza impicci e proteggendo le loro gambe.
    Gli aggressori non avevano grandi perdite, il loro numero, infatti, rendeva necessario il liberarsi dell’avversario molto velocemente ed il modo più veloce era quello di far cadere i norsmanni in modo che rotolassero giù dal pendio. Per contro, i soldati avevano alcuni feriti, ma restava il fatto che, per quanto si ostinassero, i nemici non avevano possibilità di mettere piede sulla sommità dell’altura.
    Tharnem si assicurò che tutti i suoi uomini avessero ricaricato, quindi si voltò per controllare gli altri lati dell’altura. Con un tuffo al cuore si accorse che il soldato incaricato di sorvegliare il lato opposto a quello dove era in corso il combattimento giaceva trafitto al collo da un giavellotto. Diversi norsmanni stavano scavalcando il parapetto.
    –Avverti il rosso!-
    Gridò all’uomo più vicino, poi dispose i suoi di fronte alla minaccia.
    –Mirate con cura!- ordinò –ne va della vostra pelle! Aspettate… Fuoco!-
    Ancora una volta il tiro dei moschetti a breve distanza si rivelò micidiale, dei barbari che avevano messo piede sul terreno sgombro nessuno rimase in piedi. Ma altri nemici superarono il parapetto per prendere il posto dei morti.
    Sgarri colpiva dall’alto, lasciandosi sfuggire un grugnito ad ogni fendente, come un taglialegna al lavoro. Da solo riusciva a tenere a bada quattro nemici, ma in una posizione come quella avrebbe potuto combattere con successo anche contro cinque o sei avversari.
    Sorrideva soddisfatto mentre mirava alle braccia degli avversari, in modo da renderli inoffensivi e pensava che, forse, se il nemico avesse continuato ad attaccare così, l’incubo sarebbe finito, perché tutti i norsmanni sarebbero morti in un’unica catasta alle pendici della collina. Proprio mentre quell’idea cominciava a convincerlo, sentì una temibile scarica di archibugio alle sue spalle.
    Un soldato lo tirò per una manica e gli indicò il pendio alle sue spalle. Sgarri si sentì invadere dal terrore nel vedere i nemici già oltre il parapetto, ma una parte della sua mente rimase fredda e lucida.
    Il tileano corse lungo la linea, tirando per la collottola un soldato ogni due. In questo modo i soldati scelti si voltavano e, visti i nemici, vi si scagliavano contro. Grazie a questo sistema, Sgarri riuscì a trasferire metà della sua forza contro la nuova minaccia in una manciata di secondi ed in perfetto ordine.
    I norsmanni sgranarono gli occhi esterrefatti quando videro materializzarsi dal nulla una linea di lancieri davanti agli archibugieri e non riuscirono a contenere l’impeto dei soldati, che li ricacciarono oltre le opere di difesa.
    Per quanto i barbari si sforzassero, non riuscirono più a mettere piede oltre le linee nemiche e vennero massacrati dai lancieri e dagli archibugieri che, armati di coltelli e lunghi pugnali, si erano uniti al massacro.
    Dopo circa un’ora di combattimento erano più i norsmanni gravemente feriti di quelli ancora sani, così che anche i testardi barbari si risolsero ad una ritirata piuttosto precipitosa.
    Sgarri salì sul parapetto intriso di sangue e sollevò la lama scarlatta.
    –Sangue per il dio del sangue!-
    Gridò scimmiottando il credo dei nemici.
    Non era ancora mezzodì e il tileano ordinò che fosse recuperata una carcassa di cavallo, finalmente si sarebbe mangiato!
    Sei soldati erano morti ed una decina erano feriti, il che voleva dire circa la metà degli effettivi, ma era stata un grande vittoria.
    Due ore dopo la fine del combattimento, sgarri stava consumando il suo pasto, allegro nel cuore ma con un oscuro presentimento, che il capitano gli confermò. Nessuno dei morti portava l’ascia del capo, questo voleva dire che il nemico sarebbe tornato nonostante tutto.
    Sgarri abbassò il capo sconsolato e lanciò un’imprecazione; uno stivale si era strappato durante il combattimento ed ora copriva il piede quanto un sandalo.
    Maledetta guerra!
     
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    Capitano

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    Bello! Attendo il seguito
     
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    Servo leale di Kilgore, unico vero Colonnello

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    mitico! :clap:

    adoro poi le tue conclusioni... hai un andamento cadenzato e uno stop che lascia in sospeso il lettore! gif
    attendo il seguito con ansia e... fagli trovare uno stivale da un morto! :nuuu:
    :asd:
     
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    Ladruncolo di strada

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    Molte grazie ragazzi! Complimenti graditissimi!

    No, Umberto non potrà MAI trovare uno stivale adatto :D :D :D

    Tra gli uomini di Sgarri c’erano ben tre ex macellai, per cui non fu necessario molto tempo per macellare una carcassa di cavallo e portarla all’interno dell’improvvisato fortilizio. Sgarri sorrise, carne, finalmente. I soldati fecero festa, felici di essere ancora vivi, ma soprattutto di avere finalmente lo stomaco pieno. Anche Umberto si era avventurato tra i cadaveri ai piedi della collina, nella speranza di trovare un altro paio di stivali, purtroppo la maggior parte dei corpi erano già stati spogliati e nessuno di quelli cui erano stati lasciati gli stivali aveva la sua corporatura. Il tileano sospirò e si risolse a legare assieme i lembi dello stivale danneggiato con la benda che gli fasciava la testa, la cui ferita era ormai rimarginata. Al suo ritorno Tharnem lo chiamò. –Che c’è capitano?- Chiese Sgarri la cui ostilità era completamente scemata durante il banchetto, anche grazie al goccio di liquore che il capitano aveva ancora e di cui gli aveva fatto dono. –Cosa contate di fare ora?- Domandò questi con tutta la semplicità di cui era capace. Sgarri si grattò la nuca. Ci aveva pensato, ma non era sicuro della cosa migliore. Quella notte un archibugiere era morto assiderato e le giornate erano sempre più fredde, il che rendeva una necessità l’allontanarsi rapidamente da quella posizione così avversa dal punto di vista climatico. Tuttavia il viaggio avrebbe presentato molte avversità, sia a causa del freddo sia a causa dei predoni che certamente si sarebbero presto riavuti della sconfitta. Se i predoni li avessero raggiunti in campo aperto, il tileano ne era certo, i soldati non avrebbero mai potuto sopravvivere allo scontro. Era anche molto probabile che questo sarebbe successo molto prima che il gruppo potesse raggiungere il confine imperiale e mettersi al sicuro, il che rendeva vano qualsiasi tentativo di fuga. Il tileano stava per rispondere sconsolatamente al capitano quando ebbe un’improvvisa illuminazione. –Kislev!- Esclamò. –Andremo a Kislev- Il capitano annuì, evidentemente aveva pensato la stessa cosa. –è più lontano- rispose –ma è l’ultima cosa che i predoni si aspettano- -Senza contare che le pattuglie di confine kislevite sono più efficienti delle nostre- Aggiunse Sgarri. Il capitano annuì –Resta solo il problema di come allontanarsi senza lasciare tracce- Meditò Sgarri. Tharnem sorrise –Il fiume! I nostri carri hanno rotto il ghiaccio, per cui ora si è formato un nuovo strato di ghiaccio, sul quale la neve non ha fatto in tempo a depositarsi- -Niente tracce- Concluse per lui il tileano. Per la prima volta Sgarri si accorse di quanto stimava quel saccente archibugiere. Il tileano si scrollò le spalle. Ecco un bel problema, comunicare il suo piano ai commilitoni, come l’avrebbero presa? Sgarri si schiarì la voce , ma non ottenne l’attenzione che desiderava. –Ragazzi- Urlò. Ora tutti gli sguardi erano per lui. –Dobbiamo andarcene di qui, capite che è necessario?- Fin qui tutto bene, nessuno fiatava. –non punteremo sul confine imperiale, poiché questo è quello che i nostri nemici si aspettano, punteremo invece su kislev, lo so che è più lontano, ma abbiamo più possibilità di salvarci e…- Quello che Sgarri temeva, una voce aspra lo interruppe. –Ci stai dicendo che dovremmo fare più miglia in questo inferno bianco?!- Chiese ironico un lanciere dai monumentali baffi a manubrio, un veterano molto rispettato. Sgarri tentò di spiegarsi, ma il veterano lo interruppe ancora. –Umberto, tu sei un bravo soldato e ti seguo volentieri in battaglia, ma non pretendere di metterti al comando in altre situazioni, il cervello non è mai stato il tuo forte- Scroscio di risa. Ancora una volta Sgarri tentò di replicare, ma non gli venivano le parole. Ormai si era diffuso un mormorio tra i militari e il tileano sapeva che tutti stavano parlando di lui, e non in modo lusinghiero a giudicare dai toni. –Silenzio!- ordinò il capitano. Immediatamente il chiacchiericcio si placò, i soldati erano abituati ad obbedire e tacquero all’istante. –Il tileano dice bene, l’unico modo per salvarci è seguire il suo consiglio- Per alcuni istanti un mormorio di approvazione avvolse il campo, ma il veterano parlò di nuovo –Come facciamo a fidarci di un capitano che affida la sua vita ad un fante pluripunito?- Chiese con tono d’acciaio. Immediatamente la domanda fu ripresa da molti presenti mentre il malcontento esplodeva. Tharnem si voltò verso Sgarri –Sgarri, un comandante non spieg le sue ragioni, da ordini e basta- Il tileano avrebbe voluto rispondere in tono acido, ma gli mancavano le parole. Il veterano si alzò. –Io me ne vado adesso- Affermò –Chi vuole venire con me è il benvenuto- Ciò detto il lanciere raccolse i suoi pochi averi, un ragionevole quantitativo di carne e si avviò oltre il parapetto, verso sud. Lo seguirono una ventina di uomini. Sgarri guardò tristemente gli otto uomini che gli erano rimasti, di cui sei feriti. –Ragazzi- disse tristemente –Si parte, andiamo a est- I soldati imperiali guardarono tristemente il gruppo di commilitoni che si allontanavano verso sud; in caso di attacco non avevano speranze. Sgarri sospirò, quegli uomini si erano fidati di lui e non era riuscito a tenerli uniti. Maledetta guerra!

    Umberto Sgarri non aveva neppure più la forza di imprecare. Da giorni marciava nel più totale nulla assieme al suo manipolo di disperati, bevendo l’acqua sciolta dal calore delle mani e raccolta nell’elmo. La carne cruda cominciava a risultare ben più che indigesta a tutti gli uomini, ma non c’era modo di cuocerla visto che il grande Sigmar aveva pensato bene di benedire i soldati con giornate gelide ma serene, dove un filo di fumo si sarebbe notato a miglia di distanza. I piedi del tileano avevano ormai perso sensibilità a causa dei calzari che si sfasciavano di più ad ogni penoso passo. Neppure Tharnem, quel logorroico archibugiere, aveva più la forza di parlare, e questo era un bene visto che l’umore di Sgarri era già di per se ai minimi storici. Mentre avanzava faticosamente con la neve al ginocchio il tileano farfugliava furiosamente –Uccidetemi, squartatemi, rompetemi le ossa, affamatemi, pugnalatemi alle spalle; basta che non mi rompete le scatole!- E nel vederlo in quelle condizioni gli altri divenivano ancor meno loquaci. Due uomini erano morti durante la marcia, li avevano abbandonati a terra, senza una parola, senza un gesto di compassione, erano cose che non esistevano li alla fine del mondo. Quando calava la notte i militari si stringevano l’un l’altro nel tentativo di scaldarsi, ma ogni giorno perdevano colore e i piedi variavano dal blu al nero. Sgarri si guardò attorno, il viso coperto da un panno che lasciava vedere solo gli occhi. Neve, solo maledettissima neve, e cielo, di un azzurro spietato. In lontananza vedeva chiaramente delle case, ma sapeva che si trattava solo di un miraggio causato dalla spossatezza; decine di volte i suoi uomini avevano gridato “città, città” e poi avevano trovato solo neve. Alla loro destra si vedeva un piccolo rilievo roccioso, unica interruzione al candido deserto. Il tileano si accosciò e sbuffò, certo che Kislev era davvero lontana. –Berto!- chiamò un lanciere. Umberto si voltò stancamente verso di lui e poi nella direzione indicata dal suo braccio. C’erano dei punti neri sulla neve, nelle vicinanze del promontorio, correvano verso le rocce. Aguzzando la vista Sgarri individuò un gruppo molto più nutrito di sagome che avanzavano nella medesima direzione. –Sono i nostri!- Gridò Tharnem che aveva messo mano al cannocchiale dell’Hockland. –Il secondo gruppo?- Chiese speranzoso il tileano. –No, quelli che scappano; gli altri sono predoni- Sgarri imprecò e si mise a correre anche lui verso il promontorio. –Che fai pazzo di un tileano?- gridò il capitano arrancandogli dietro. Sgarri ansimò –Ci vedrebbero comunque, tanto vale cercare di arroccarsi tra le rocce- Quand’ebbe finito di dirlo erano già arrivati. Si trattava proprio dei loro commilitoni; un lanciere spiegò che erano stati sorpresi da una pattuglia nemica e che si erano quindi risolti a dirigersi verso est, ma poi si erano trovati tutti addosso. Sgarri imprecò, così facendo avevano condannato anche loro, ora ne era certo visto che i suoi erano quasi tutti disarmati e i nemici erano un gruppo decisamente nutrito. Cercò il veterano che li aveva condotti via dall’altura e lo trovò accasciato contro una roccia e intento a tamponarsi una ferita al ventre. –Sai Olaf- Gli disse senza guardarlo –Forse non ci sarà un’altra occasione, per cui vorrei dirtelo ora… Sei veramente un ****!- Ciò detto gli sferrò un pugno in viso e subito se ne pentì per il dolore alla mano gelata. L’altro non si mosse e Sgarri capì che, quando lui era arrivato, era già morto. Sgarri imprecò selvaggiamente e solo allora si accorse che i cinque archibugieri sopravvissuti stavano sparando a cadenza di fuoco molto serrata. A dirigere l’inutile tiro era Tharnem. Il tileano gli diresse uno sguardo interrogativo; quel fuoco non riusciva neanche ad infastidire i nemici, che presto sarebbero entrati tra le rocce. Il capitano si drizzò gli occhialini ed imbracciò il moschetto –Un bravo comandante non si arrende mai Sgarri, lo ricordi!- Il tileano sorrise mestamente e sguainò la spada che gli cadde con gran fracasso dalle dita intirizzite. Maledetta guerra, possibile che non gli riuscisse neanche di crepare in modo onorevole?! Sgarri guardò Tharnem, che ora aveva abbandonato a terra il moschetto ed incitava gli uomini, con una pistola per mano ed il sorriso dei folli sul viso. Quanto lo ammirava. L’urlo d’odio di un norsmanno lo richiamò alla gelida e violenta realtà. Raccolse la spada e schivò l’attacco del nemico; retrocedere, parare, schivare, finta, affondo, ritrarre la lama, finta, parata, colpo da sinistra, affondo. Sgarri doveva ripetere a se stesso le proprie azioni e le parole gli rimbombavano nel cervello, mentre il corpo, abituato da dieci anni a quelle reazioni automatiche, agiva. Con un ringhio disperato Sgarri superò un cumulo di cadaveri, un nemico gli si parò davanti, lui lo travolse e lo gettò oltre il bordo della roccia. Sigmar! Sigmar? Lui pregava Ulric, non Sigmar, perché Sigmar? Impero! Morte! Ammazza! Le urla In comune laceravano l’aria. Non può essere, un trucco del vento? No, dietro lo schieramento nemico era apparsa una marea multicolore. Il nemico vacillò, fuggì, ma era circondato, dopo pochi minuti gruppi sparuti di norsmanni fuggivano disperatamente. Sgarri non ci poteva credere; decine e decine di soldati imperiali marciavano tra i cadaveri, depredando i caduti e finendo i feriti. Non erano come lui, che si vestiva di stracci annodati, portavano uniformi ordinate, pulite, alcune sembravano nuove. –Ehi soldato- Sgarri si voltò –Soldato?- Lo apostrofò ancora il nuovo arrivato. Si trattava di un soldato equipaggiato di una magnifica armatura completa, col viso tondo incorniciato da un’ordinata barba castana ed un sorriso bonario. Sgarri rimase a guardarlo, soffermandosi sullo spadone e sul basco del nuovo arrivato. –tutto bene soldato?- chiese ancora il grandispade in tono pacato. –Si- rispose brusco il tileano –Si…- Sgarri era totalmente spaesato, che diavolo ci faceva un grandispade in mezzo al nulla? Stava sognando? Il militare accese una pipa d’osso e cominciò a tirare fumo. Alfine il tileano si risolse a parlare –Ma… voi… Qui che ci fate?- Il grandispade lo squadrò sorpreso –Ci pagano per stare qui, non hai mai sentito dei mercenari di Lemec?- Sgarri scosse la testa –Sigmar benedetto!- proruppe il grandispade –Ma da dove vieni?!- Sgarri si mise involontariamente sugli attenti –Secondo battaglione, terza compagnia lancieri dell’Ostland; eravamo con la spedizione a Nord- Il grandispade lo squadrò –Ostland?! Qui sei al confine con Kislev amico, dov’è il resto dell’armata?- -Tutto quello che resta siamo io e i miei uomini a quanto ne so- Rispose tristemente. Il Grandispade perse il sorriso –Mi spiace soldato, resti solo tu- Sgarri ci mise un po’ a capire, ma poi superò il soldato e corse verso il punto dove aveva visto per l’ultima volta Tharnem. La linea degli archibugieri era stata travolta da alcuni barbari armati di mazzafrusti, i cadaveri erano attorcigliati e maciullati in tal modo che era impossibile riconoscere chicchessia, ma non era necessario riconoscere il capitano; a terra giacevano rotti ed insanguinati i suoi occhialini. Sgarri chinò il capo e si appoggiò alla fredda roccia. Il capitano, il pazzo, il saccente, il guerriero, l’amico. Improvvisamente il ricordo di tutti gli amici persi in battaglia affiorò nella mente del tileano ed una calda lacrima gli percorse la guancia sinistra. La voce del grandispade lo riscosse bisognava andare, ai caduti ci avrebbero pensato i lupi; inutile cercare di seppellirli in quel terreno gelato.
     
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    Mi spiace molto per l'assenza di commenti, cosa che mi scoraggia abbastanza, ma pubblico comunque l'aggiornamento della saga, sperando possa essere apprezzata.

    Sgarri camminò nella neve, si sentiva svuotato, apatico. Non sentiva i canti dei soldati che marciavano allegri festeggiando la facile vittoria, si accorse solo che un canto era in tileano, ma lasciò correre perché non aveva la forza di registrare quest’informazione nel cervello. Le case che aveva visto non erano un miraggio, si trattava di un villaggio di piccole dimensioni, cinto da una bassa e logora palizzata. Sull’unica torre uno stendardo a frange di foggia bretonniana garriva il vento. A differenza degli stendardi che Sgarri era abituato a vedere, questo non era né sgargiante né prezioso. Si trattava semplicemente di tessuto nero, logorato dalle intemperie e percorso unicamente da una V rovesciata di colore bianco punteggiata di nero. A dispetto delle case cadenti, il villaggio appariva benestante, se non addirittura ricco; i kisleviti indossavano abiti caldi e confortevoli, le donne erano pettinate e gli uomini portavano barbe curate. Tuttavia ad ogni passo si riconoscevano i segni di un recente periodo di squallore e decadimento. Era evidente che l’arrivo dei mercenari aveva risollevato le sorti dell’insediamento. Sgarri faceva ben poca attenzione al calore con cui i normalmente freddi kisleviti accoglievano i mercenari; nella sua testa rivedeva solo, come attraverso la nebbia, i momenti vissuti fianco a fianco con i compagni nei giorni precedenti. Appena oltre il villaggio, si estendeva un paese ben più grande, formato di tende e catapecchie mal costruite. Per quanto i ripari fossero spartani, l’insediamento appariva molto ben costruito; con vie ampie a griglia. Alcuni ripari portavano un vessillo. I mercenari si dispersero rumorosamente nel campo, bevendo liquori e ridendo fragorosamente. Sgarri rimase solo in un incrocio, a fissare senza vederlo un cane che giocava con un osso nella neve. Non avrebbe saputo dire quanto rimase così, ma quando decise di muoversi il sole stava già calando. Si mosse a passi pesanti verso una destinazione sconosciuta, vagando per il campo tra l’indifferenza generale. Dopo alcuni isolati si trovò di fronte un vessillo dal quale pendevano due enormi asce nere, guardato da due arcigni alabardieri. Erano molto diversi dagli alabardieri imperiali; alla leggera corazza di questi avevano infatti preferito dei lunghi giachi di cuoio borchiati e rinforzati da piastre metalliche, che gli arrivavano fino al ginocchio. Sgarri non poté fare a meno di notare il loro sguardo fiero e i volti segnati di cicatrici. Ma la differenza più evidente con le truppe regolari erano gli scudi. Agli scudi tondi dell’Impero gli alabardieri avevano infatti preferito scudi rettangolari che recavano l’araldica dello stendardo; una metà gialla, l’altra rossa e un’ascia nera dipinta nel centro. Sgarri fece per passare oltre, ma un alabardiere lo fermò interponendo la larga lama dell’arma. –Dove pensi di andare?- Domandò in tono ferreo. Sgarri lo guardò stupito ed in quella notò una specie di gigante barbuto che indossava la livrea giallo rossa ed era intento a scolarsi una bottiglia. –Allora?- Incalzò la guardia –Cerchi problemi?- Il gigante vide Sgarri e per poco non si soffocò con il liquore. –Credimi Waldo- Disse l’uomo avvicinandosi da dietro l’alabardiere –Se questo topo di fogna cercasse problemi tu saresti già morto- L’uomo si scostò un po’ interdetto. –Ciao Raimund- Disse il tileano sorridendo improvvisamente. –Allora non ti hanno ancora ammazzato eh?!- Rispose l’altro con uno sgraziato accento del Reickland. L’enorme individuo mise il braccio attorno alle spalle di Sgarri e lo condusse oltre la sentinella, che s’irrigidì nel saluto militare. Il tileano si guardò attorno spaesato; ovunque alabardieri con la livrea giallorossa e l’ascia nera dipinta s’affaccendavano nelle più diverse occupazioni, tutti avevano l’aria assassina di veterani temprati. –Ma chi cavolo sono?- Chiese Sgarri. Raimund sorrise allegro increspando la barba castana che gl’incorniciava il viso. –Le Asce Nere, il miglior reparto di alabardieri del mondo, gli Ammazzagiganti!- Improvvisamente Sgarri si rammentò di aver sentito parlare di questo reparto che, a quanto si diceva, aveva addirittura ucciso un gigante. –Devi scusare la mia sentinella- riprese l’alabardiere –A noi non piace che la gente venga a curiosare nel nostro campo- -Vostro campo?- Domandò Sgarri sedendosi accanto all’amico su un tronco e scaldandosi le mani al vicino falò. –Certo- Rispose fieramente l’altro –Io sono il sergente- Sgarri scoppiò a ridere. Aveva conosciuto Raimund quattro anni prima durante una rissa da taverna tra militari del Middenland e del Reickland, se l’erano suonate di santa ragione; così tanto che quando era arrivata la milizia cittadina non avevano avuto la forza di scappare ed erano finiti in cella per una settimana. Avevano finito per diventare amici per la pelle e Sgarri non avrebbe mai più potuto dimenticare Raimund che, in piedi su un tavolo, roteava sopra la testa un povero archibugiere del Middenland. Così ora il fatto che il suo amico fosse sergente lo faceva davvero ridere. Raimund si lamentò della spacconeria dei suoi uomini e della loro mancanza di disciplina con tale veemenza che Sgarri si chiese se il reicklander si ricordava ancora di quella volta che si erano ubriacati così tanto che si erano svegliati, nudi, in una vigna vicino Altdorf, mentre le raccoglitrici li guardavano scandalizzate. Delle signorine che avevano diviso con loro sbronza e serata nessuna traccia, come dei loro vestiti e dei loro valori del resto. Il tileano si scoprì a sorridere nella soffusa luce del fuoco mentre ascoltava le lamentele dell’amico e ricordava i giorni passati; tutte le punizioni e le sbronze prese assieme, tutti i pugni dati e anche quelli ricevuti. Si accorse che, tutto sommato, il sergente parlava con grande fierezza dei suoi indisciplinati spacconi. Raimund divise il proprio cibo con il tileano e gli parlò del suo signore, André Lemec. Sgarri ascoltava a tratti, rapito da quella vita di accampamento che tanto gli era famigliare e che lo faceva sentire appagato, così che perse metà del discorso tra le danzanti scintille del fuoco. L’unica cosa che capì era che si trattava di un tipo in gamba, abile in guerra e generoso nel dividere il bottino. Poi Raimund disse qualcosa sul fatto che di sicuro gli sarebbe piaciuto conoscerlo e che era stato educato in Tilea, pur essendo bretonniano, ma che ora era intento in un’incursione e chissà quando sarebbe tornato. Poi il loro discorso si perse nei canti sconci dei soldati e nelle accoglienti bottiglie. Come succede sempre, gli uomini di valore si erano visti e riconosciuti, ora le Asce Nere dividevano fraternamente fuoco e bottiglie col tileano e la serata finì ridendo in una tenda con una prostituta.
     
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    mi dispiace di non aver commentato al primo racconto ma l'avevo letto a suo tempo quando l'avevi pubblicato :(
    dannazione... :asd:

    Evvia il tileano e un attimo di respiro... speriamo che qualcosa accada presto nella landa gelida e desolata del kislev! :see:
     
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    Capitano

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    Si conferma un racconto appassionante. Peccato per il capitano degli archibugieri, vedo che la sindrome da trono di spade miete protagonisti :D
     
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    Vi ringrazio molto ragazzi!
    E già che ci sono aggiorno!

    Umberto si svegliò con la bocca impastata e la testa dolorante del dopo sbornia. Una fastidiosa luce azzurrina penetrava dalla porta semi aperta della baracca dove lui giaceva avvolto nel suo mantello nordico. Tutto attorno, sul pavimento d’assi diseguali, giacevano abbandonati cinque o sei giacigli. Il tileano si stropicciò gli occhi e si alzò faticosamente. Il corpo gli doleva terribilmente ed il puzzo di sudore e sangue, misti al vino stantio, che emanava dal mantello era davvero insopportabile. Lo spadaccino si grattò la nuca e si diresse a passo malfermo verso l’uscita. Il riverbero della neve gli ferì gli occhi scuri, che si ridussero a fessure. –Per i denti di Sigmar!- Bestemmiò una voce alla sua sinistra –Vatti a lavare Berto, fai davvero schifo!- Sgarri riconobbe la voce di Raimund, ma non si voltò, si limitò a dirigersi verso il lavatoio di fronte a lui. Le Asce Nere oziavano allegramente o affilavano le armi tramite lo sfregamento con la cote; producendo un suono che a Sgarri pareva un urlo infernale. Il tileano si lasciò cadere nel lavatoio, incurante delle due donne che stavano pulendo i loro panni e che urlarono scandalizzate quando l’acqua gelida le schizzò. Il contatto con l’acqua gelida riportò alla lucidità lo spadaccino che, immediatamente, iniziò a battere i denti. Tremando di freddo si spogliò e lavò accuratamente se stesso e gli abiti che indossava. Raimund gli prestò camicia e calzoni, così che potesse far asciugare i suoi panni. Il mantello era da buttare, la tunica invece era ancora utilizzabile, per quanto fosse stracciata e forata. Fortunatamente per Sgarri era una giornata calda rispetto agli standard degli ultimi giorni e con un cielo straordinariamente terso. Il leggero vento che si era alzato nella tarda mattinata avrebbe aiutato ad asciugare gli stracci del tileano. Sgarri si fece offrire il pranzo da Raimund che gli doveva non poche corone e spese tutti i soldi che gli restavano per farsi rappezzare la corazza dal fabbro delle Asce Nere, che lo prese in simpatia e gli affilò gratuitamente la spada. Si trattava di una vecchia lama acquistata per pochi soldi in un villaggio vicino Middenehim ed era ormai scheggiata e dentellata in modo irreparabile, ma era solida; Sgarri non dubitava che l’arma avrebbe potuto effettuare ancora molte parate prima di dover essere sostituita. Il tileano passò l’intero pomeriggio ad osservare gli alabardieri che si tenevano in esercizio; si trattava davvero di guerrieri abili, ma il tileano si aspettava di meglio da una compagnia così nota. Probabilmente il loro valore sul campo di battaglia era dovuto più alla spavalda ed incrollabile fede che alle reali capacità belliche. Sgarri era ancora seduto su un tronco accanto a Raimund quando squillarono le chiarine. Era un richiamo lancinante, due note, una acuta e una bassa. Tutte le Asce Nere scattarono come molle; chi si stava battendo interruppe istantaneamente la lotta, chi stava fumando gettò la pipa nella neve. Raimund prese ad urlare concitatamente con la sua voce profonda e roca –Alle armi, alle armi signorine!- Anche Sgarri aveva riconosciuto il segnale d’allarme e si affrettò ad indossare la sua corazza appena riparata. –Che succede?- Domandò a Raimund mentre indossava l’elmo. Il sergente farfugliò un “attacco” mentre si gettava il grande scudo a tracolla, da una fusciacca che portava a tracolla gli pendeva una grossa scimitarra senza fodero, che appariva particolarmente minacciosa sul fianco del colossale Reicklander. Un veterano dall’aria truce aveva estratto il vessillo dal terreno gelato e se l’era messo in spalla. In pochi istanti l’intera compagnia era equipaggiata e radunata attorno al vessillo. –Vengo con voi- Gridò Sgarri all’amico e questi gli gettò un’alabarda che il tileano prese al volo. –Sta in ultima fila!- Ringhiò il sergente prima di dare il secco ordine di partenza nel suo ruvido dialetto. Il tamburino delle Asce Nere cominciò a battere sulla pelle del suo strumento come se col solo suono potesse respingere il nemico. La compagnia si inquadrò in pochi istanti e ci mise ancor meno a trovare il passo. Sgarri sentì un impeto d’orgoglio nel marciare al fianco di questi veterani e si unì allo spavaldo coro degli alabardieri. Le altre unità di fanteria fiancheggiarono le Asce Nere, formando una linea davanti al villaggio kislevita. Dalla sua posizione nell’ultima linea della compagnia Umberto non riusciva a scorgere il nemico, ma sentiva distintamente un galoppo inframmezzato dalle secche detonazioni di diverse pistole. Pochi minuti dopo il tileano vide una decina di pistolieri che correvano a briglia sciolta verso gli alabardieri. Con manovra perfetta il gruppo si divise per passare negli stretti corridoi lasciati dalle unità che avevano fiancheggiato gli alabardieri. –Sono tutti vostri ragazzi!- Gridò con aria gioviale uno dei cavalleggeri mentre passava accanto alle Asce Nere. Solo a quel punto Sgarri individuò un nutrito gruppo di cavalieri norsmanni che erano quasi addosso alla prima linea. Gli alabardieri lanciarono un grido di sfida e protesero avanti le armi, mentre la prima fila si inginocchiava. Solo allora il tileano comprese l’utilità di quegli scudi rettangolari; proteggere il fianco sinistro delle Asce Nere dalla spalla al ginocchio, lasciando libere le mani per manovrare l’alabarda. –Lemec!- Ringhiarono gli alabardieri mentre la cavalleria si schiantava rovinosamente su di loro. Un cavaliere barbaro volò in aria ed atterrò ai piedi di Sgarri, mentre le sue interiora piovevano sugli alabardieri della file precedenti. Un norsmanno si liberò dal cadavere del suo cavallo e mulinò l’ascia con aria assassina, ma il suo urlo di sfida fu soffocato da un colpo di alabarda che gli sfondò la gabbia toracica. La cavalleria iniziò a manovrare per portare un secondo assalto, ma le unità che proteggevano i fianchi delle Asce Nere scattarono in avanti circondandola. Ovunque i barbari, terrorizzati, venivano disarcionati e uccisi. Improvvisamente le retrovie nemiche furono bersagliate da un’imponente pioggia di dardi scagliati dagli arcieri che si trovavano alle spalle della fanteria imperiale. I cavalieri erano terrorizzati e disorientati; quello che credevano essere un gruppo sparuto e demotivato di fanti si era rivelato un impenetrabile muro di scudi. Con la loro studiata fuga i pistolieri li avevano attirati proprio nel punto più forte della linea di difesa. –Facciamoli a pezzi!- Gridò Raimund mentre, impugnando a due mani la sua temibile scimitarra, sfondava il cranio nudo di un nemico. Il pesante stendardo della compagnia si abbatté con violenza su un attonito nemico, schiantandolo a terra assieme al suo cavallo. In pochi minuti il nemico fu annientato, ma una minaccia ben maggiore si presentò al posto della cavalleria. I distaccamenti arretrarono tornando in linea con gli alabardieri mentre una temibile linea di fanteria avanzava lentamente verso le linee imperiali, guidata da una specie di colosso mutato protetto dalla nera armatura del caos. Il nemico caricò urlando; i mazzafrusti e le grandi lame sfondavano scudi ed ossa. Al grido di “Lemec” le Asce Nere si strinsero attorno all’alfiere, nel tentativo di reggere il tremendo urto dei potenti muscoli mutati dei nemici. L’impeto nemico si ruppe; per quanti alabardieri cadessero nel tentativo di contenere la caotica furia, le Asce Nere non cedevano un passo, per ogni uomo che cadeva nella neve rossa un altro si faceva avanti per morire col nome di André Lemec sulle labbra. Alla lunga questa abnegazione fiaccò gli animi dei nemici, che rallentarono l’assalto. Ma tale resistenza non bastò d’esempio per i distaccamenti che, disorientati dalla violenza del nemico, si ritirarono per riorganizzarsi. Sgarri imprecò quando si accorse che il nemico li stava circondando dai fianchi lasciati sguarniti. Un colosso di norsmanno con una chela al posto del braccio sinistro gli si fece incontro, ma un alabardiere s’interpose. La chela lo stritolò, facendo a pezzi la sua gabbia toracica. –Lemec!- Urlò l’uomo mentre, con le ultime forze, piantava un pugnale nella gola del nemico. Sgarri si chiese cosa poteva aver fatto questo André Lemec per guadagnarsi una simile devozione da parte dei suoi uomini. Il terrore si fece largo tra i pensieri del tileano; ma che stupida idea quella di combattere con le Asce Nere, che gli era venuto in mente? Non era necessario, non aveva senso… Un nemico tentò di mozzargli la testa con un colpo d’ascia, ma il tileano si abbassò fulmineo e gli gettò contro l’alabarda. Lo spadaccino estrasse la sua arma favorita e ne baciò la lama. –Forza- Ringhiò ignorando la paura che gli torceva le budella –Vieni verso il tuo destino!- Il norsmanno tentò ancora di colpirlo e, probabilmente, non comprese mai che il tileano lo aveva ferito alla coscia, tanto fu rapito Sgarri nel ferirlo al petto ed all’addome. Il tileano spinse via il nemico agonizzante con un calcio e parò un colpo d’ascia, pronto a combattere ancora, mentre gli alabardieri gridavano a gran voce –Di qui non si passa! Indietro vermi!- Ma il nemico era numeroso e galvanizzato dalla forza del suo campione che, da solo, stava facendo strage di arcieri. Sgarri infilzò un nemico e vide un altro norsmanno che tentava di colpirlo, ma un’alabarda lo infilzò al petto. Il tileano si sentiva assurdamente fiero di trovarsi in quella pericolosissima situazione al fianco di quegli uomini così valorosi. Si sentiva di nuovo come quand’era con i suoi fratelli spadaccini del Middenland. Le Asce Nere non avevano mai permesso che il loro stendardo cadesse a terra ed ora Sgarri ne comprendeva il motivo; tutti si erano stretti in cerchio attorno al vessillo e nessuno osava dare il benché minimo segno di cedimento, tutti si battevano con disperato valore. Ma il nemico era troppo numeroso. Proprio quando Sgarri stava per essere colpito da una mazza, il nemico che la reggeva cadde all’indietro, trafitto dalla lama di una spada lunga. Un reggimento di grandispade si stava facendo sanguinosamente largo verso gli alabardieri, che si voltarono ed acclamarono a gran voce un singolare personaggio che camminava tra i soldati. Indossava una corazza da cavaliere ed un elmo con visiera, ma non portava una tenuta sgargiante, bensì una livrea nera, decorata solo con la V rovesciata dello stendardo che il tileano aveva visto all’ingresso del villaggio. Il cavaliere si muoveva sul campo di battaglia con estrema baldanza, come se non fosse in corso una battaglia e per un istante Sgarri ripensò al capitano Tharnem. Il singolare personaggio non portava lo scudo ed impugnava una spada decorata di rune che emetteva un luccichio sinistro. Al suo passaggio i fanti scandivano –Le mec, Le mec!!- Lui accennò un saluto alle Asce Nere, quindi si diresse a passo sicuro verso il campione nemico. Il caotico lo guardò con odio e gli si scagliò addosso mentre Lemec lo insultava a gran voce in bretonniano. Le due lame cozzarono e si disimpegnarono, quindi cozzarono ancora. Sgarri era uno spadaccino eccellente e gli bastò vedere questo semplice scambio di colpi per capire quanto il bretonniano fosse abile. Non era particolarmente forte o veloce, ma inclinava sempre la lama in modo che i colpi nemici spiovessero verso terra, affaticando l’avversario. I campioni si muovevano in cerchio e l’intero combattimento si era arrestato per permettere ai guerrieri di assistere all’epico scontro. Il teso silenzio era rotto solo dai grugniti dei combattenti e dal cozzare del metallo. Con un urlo che era odio puro il caotico abbatté la sua pesante lama nera. Lemec si scostò e roteò due volte su se stesso. Al primo giro mozzò le mani al nemico, al secondo gli mozzò la testa. Quindi rovesciò il cadavere con un calcio –Vai a farti fottere!- Grugnì in tileano. Il cavaliere mulinò la spada e la puntò verso un nemico –Avanti il prossimo- Ringhiò in comune. I norsmanni stavano ancora osservando basiti il corpo fremente del loro campione quando gli imperiali si fecero avanti per riprendere lo scontro. Senza pensarci due volte i barbari si girarono e fuggirono disordinatamente, in seguiti dalle invocazioni a Sigmar e dagli insulti dei vincitori.
     
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    Adesso sono curioso di sapere da dove viene quel rinnegato bretoniano.
     
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    Servo leale di Kilgore, unico vero Colonnello

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    Quale valore e fede nel cuore degli uomini... :wub:
    fantastico!! Tutto veramente perfetto per farci piombare nella landa innevata! :clap:

    Ho sempre adorato il modo di combattere dei pistolieri! :yoh:
     
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    Mi ha fatto sbregare il pistoliere cialtrone "sono tutti vostri ragazzi" troll face
     
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  15. Krakamazov
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    bello bello davvero! l'unica pecca che mi ha un po demoralizzato sono stati i parallelismi con alcuni film attuali: la "V" rovesciata e gli scudi che proteggono dalla spalla al ginocchio sono un chiaro rimando a 300 e anche il combattimento dei due campioni accerchiati dai due eserciti che smettono di combattere mi sembra di averlo già visto in "troy". sono voluti tutti questi parallelismi?
     
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68 replies since 5/10/2014, 12:26   1679 views
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