La saga di Umberto Sgarri

Un soldato imperiale, un ubriacone tileano, un eroe da osteria... Uberto Sgarri è tutto questo ed altro ancora

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    Bello bello bello! In questi due giorni mi son letto la saga tutta d'un fiato e mi è piaciuta moltissimo. Continua con quest opera che sei molto bravo (e voglio sapere come finisce ;-) )
     
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    Ti ringrazio molto Gualtikhan, fa sempre piacere avere nuovi adepti che si uniscono alle avventure del nostro "rosso" preferito.

    La musica si spandeva nella pianura congelata con la delicatezza ed il calore delle dita di una donna.
    Sgarri l’udì e se ne fece guidare, stanco di arrancare nel buio e sedotto da quelle note che promettevano allegria e colore.
    Da quanto non ascoltava una bella ballata!
    I middenlander non erano popolo famoso per i propri musici, ma lui ricordava che a casa, nella sua amata Tilea, non esisteva osteria ove la sera non si riunisse un qualche raccogliticcio gruppo di musicanti più o meno ubriachi.
    Di quegli intrattenimenti aveva ormai ricordi sbiaditi e fallaci, tarlati dall’incedere del tempo, eppure quel suono risvegliò in lui una fiamma di ardore.
    Le luci del villaggio macchiavano la neve d’un invitante giallo arancio, promessa di focolari e ricetto.
    I passi pesanti e malfermi dello spadaccino scandivano un muto avanzare, reso meno faticoso da una recente traccia ora finalmente visibile.
    Nel buio Sgarri non poté calcolare con certezza il numero di coloro che l’avevano solcata, ma si trattava evidentemente di un gruppo di cavalieri, forse una ventina, o forse un centinaio, impossibile dirlo.
    Per un istante la prudenza, figlia di una lunga e sofferta esperienza, gli fece considerare l’idea di allontanarsi, quegli uomini avrebbero potuto essere una pattuglia delle truppe provinciali, quanto una banda di banditi.
    Ma la musica e quelle luci erano così invitanti, e lui stava morendo di freddo.
    -Non procedete oltre, se vi è cara la pelle!-
    La voce giunse dalle tenebre, cogliendolo di sorpresa.
    Sgarri impiegò parecchio per individuare colui che aveva parlato, poiché l’uomo aveva sfruttato l’ombra proiettata dalle finestre della più vicina casa per occultarsi.
    La prima cosa che riconobbe fu la terrificante sagoma di un arco lungo bretonniano, con la freccia incoccata.
    Gli era capitato una volta di vedere all’opera quei listelli di legno di tasso o maggiociondolo più alti di un uomo.
    Era stato qualcosa di spaventoso.
    -Andatevene, non riceverete un secondo avviso!- Ringhiò spazientita la sentinella, mentre già tendeva la micidiale arma.
    Il tileano stava ancora ragionando sulla risposta da dare, quando un secondo uomo emerse dalle ombre e pose una mano sull’avambraccio del primo, abbassando l’arma.
    -Aspetta Armand, hai visto il mantello?- Disse una seconda voce in bretonniano, prima di aggiungere in un comune dal pesante accento tileano. –Fatevi avanti, che possiamo vedervi alla luce e favorite il vostro nome!-
    La seconda voce era arrochita e molto autoritaria, così che, non trovando altre idee, Sgarri si fece avanti, fino a raggiungere i due uomini.
    L’arciere vestiva completamente di nero, con l’emblema di un leone rampante incoronato ed armato di spada bianco ricamato sul petto.
    Portava la tipica arma del popolino, ma aveva al fianco un’ascia da guerra ben affilata, vestiti costosi a coprirgli un giaco di cuoio borchiato e rinforzato di maglia di ferro ed un caldo mantello di vello di pecora, anch’esso nero.
    Brunito era anche l’elmo con nasale che calcava in testa.
    Il secondo uomo indossava una tenuta blu notte, con lo stemma di una torre cadente in grigio sul petto.
    Non portava l’elmo, sostituito dal cappuccio del suo mantello blu di lana cotta, ed al fianco portava una lunga spada da cavaliere.
    -Umberto Sgarri- Disse semplicemente, con voce impastata, il nuovo venuto.
    -Axes Noires- Commentò stupito l’arciere, nel riconoscere il mantello di Sgarri.
    Il tileano annuì piano, l’uomo aveva detto Asce Nere in bretonniano, segno che conosceva il reggimento di Raimund Steiner.
    L’uomo con la torre spezzata ricamata sul petto si fece avanti porgendo la mano allo spadaccino.
    -Un tileano come me eh? Se hai servito nelle Asce Nere, il nostro fuoco è il tuo fuoco, il nostro cibo è il tuo.
    Io sono Ser Gualtiero da Pavona, cavaliere al servizio del Conte di Annevie, e questi è Armand Bonhomme.-
    L’arciere chinò leggermente il capo in segno di saluto, ma non tolse la freccia dal listello.
    -Ho conosciuto le Asce Nere- Disse in un comune fortemente accentato. –Se torni al reggimento salutami il Sergente, Fritz Steiner-
    Sgarri fissò i propri occhi scuri in quelli azzurri del bretonniano. –Raimund Steiner- Rispose secco mentre stringeva la mano al cavaliere.
    Le due sentinelle si scambiarono un rapido sguardo d’intesa, quindi Gualtiero da Pavona cinse la spalle di Sgarri con un braccio, accompagnandolo verso la locanda dalle finestre illuminate.
    -Entra- Ordinò. –E di all’oste che ti manda Gualtiero da Pavona. Io devo tornare al posto di guardia, ad André non piace quando non mi trova nel mio solito posto.- Il cavaliere gli strizzò l’occhio e tornò sui propri passi.
    Sgarri spinse la pesante porta di quercia e si ritrovò in un altro mondo.
    Sembrava che l’intero villaggio si fosse affollato attorno al caldo focolare, sul quale arrostivano, infilzati negli spiedi, due cinghiali interi.
    Oltre che di contadini, l’unico locale era affollato di soldati, la maggior parte dei quali indossava la livrea nera col leone.
    Il tileano notò che coloro che indossavano differenti livree non erano mai in più di due ad esibire il medesimo stemma.
    Suppose che si trattasse di cavalieri con i propri scudieri.
    Erano proprio due di questi, entrambi impaludati in vesti marroni, raffiguranti un lupo rosso ed un orso nero rampanti l’uno contro l’altro, a suonare l’allegro motivo che lo aveva condotto fino a li.
    Quello che suonava la lira era un uomo magrissimo, dal viso allungato e sfregiato, che nonostante l’aria assorta, aveva un’espressione di feroce scaltrezza.
    L’altro era uno degli uomini più grossi che lui avesse mai visto, con un’espressione bonaria, malgrado le sue cespugliose sopracciglia spioventi.
    Questi aveva un’aria vagamente buffa, poiché le sue enormi mani coprivano interamente l’ocarina che stava suonando.
    Furono in molti a voltarsi quando Sgarri fece il suo ingresso e molti parvero fissare il suo mantello.
    Il primo a riaversi fu un uomo in nero, che gli fece un largo gesto della mano, mentre diceva in tileano. –Vieni alla mia tavola Ascia Nera, abbiamo cibo, birra, belle donne e buona musica.-
    Sgarri, diffidente di natura, si mosse a passi lenti.
    Quegli uomini dovevano aver versato parecchio conio, poiché sembrava che tutte le giovani del villaggio fossero accorse a servire loro da bere, o a compiacerli con diversi servizi, come poté constatare dalla molte giovinette semisvestite che sedevano in grembo ai soldati.
    Il tileano non poté non soffermarsi ad osservare il seno scoperto di una bella brunetta, ma poi si forzò di continuare la sua osservazione, per valutare coloro che, ormai, lo circondavano.
    Quello che vide gli fece correre un brivido lungo la schiena.
    Erano quasi tutti guerrieri nel fiore degli anni, molti esibivano vistose cicatrici e tutti, anche il più ubriaco e distratto, avevano le armi a portata di mano.
    Armi dall’aria molto costosa e ben tenute, come si confaceva a soldati veterani.
    La cosa che lo stupiva maggiormente era che gli uomini sedevano mescolati ai vari tavoli che affollavano la locanda, senza la benché minima distinzione fra quelli che lui aveva supposto essere cavalieri e gli arcieri.
    Un’usanza per lo meno atipica presso i bretonniani, come nell’Impero.
    Sgarri lasciò cadere lo zaino ed il pesante scudo accanto al tavolo presso il quale era stato invitato e tolse il mantello irrigidito dal freddo.
    La compagnia lo turbava, ma il piacevole tepore dell’ambiente lo aveva già confortato dai disagi della marcia.
    Un boccale di birra scura gli fu sbattuto davanti, prima ancora che si sedesse sulla panca, dall’uomo che lo aveva invitato.
    Questi aveva l’aspetto di un arciere ed indossava la livrea col leone, ma il tileano notò che, per quanto lingua ed artigli della bestia fossero rossi, come quelli ricamati sugli altri farsetti, il mantello della bestia non era bianco, bensì argenteo.
    L’uomo inoltre portava al fianco una spada bastarda ed una daga da duellista.
    Furono questi i primi elementi ad insospettire Sgarri, un sospetto che si rivelò fondato non appena i due sguardi s’incontrarono.
    L’uomo dal leone argenteo aveva capelli castano scuro che gli ricadevano fino alle spalle ed una corta barba ad incorniciargli la bocca, un viso che lui ricordava bene.
    -Mio signore!- Disse rialzandosi dalla panca, neanche questa fosse stata rovente, con il boccale a mezz’aria.
    Tutti gli uomini al tavolo, diversi dei quali arcieri, scoppiarono a ridere.
    -Umberto Sgarri, del Contado di Callan, se ben ricordo- Commentò il Conte con voce divertita. –Nella foresta non eravate così incline a conferirmi i miei titoli…- Aggiunse con sarcastico puntiglio.
    Sgarri rimase così, senza sapere bene cosa rispondere e come comportarsi, poiché non era abituato alla nobiltà bretonniana.
    -Nella foresta non ero circondato dai vostri uomini- Rispose sinceramente.
    -In realtà lo eravate eccome- Gli fece notare il nobile.
    -Eravate soltanto sei- Grugnì il tileano, come a sotto intendere che sei per lui fossero un numero esiguo da affrontare. Il commento suscitò un secondo scroscio di risa.
    Il Conte accennò col proprio boccale di peltro nella sua direzione, quasi a farlo oggetto di un brindisi.
    -Sedete- Ordinò. –Bevete con me e raccontatemi del vostro viaggio, se ciò vi aggrada, altrimenti sarà David a raccontare qualcosa, a lui piace tanto chiacchierare.-
    Nel parlare il Conte aveva indicato il cavaliere seduto accanto a Sgarri, un uomo brizzolato, dal viso sfregiato e segnato dalle intemperie, che indossava abiti color verde spento sui quali era ricamata una testa di cervo nera.
    David rispose con un grugnito seccato, chiarendo così la propria posizione in merito al passare la serata narrando antiche gesta.
    Dopo il primo momento d’imbarazzo, il tileano scoprì che la compagnia del Conte era sorprendentemente piacevole.
    Tutti gli uomini al tavolo erano soldati veri, tanto i cavalieri quanto gli arcieri, gente facile al riso, dotata di un feroce umorismo di dubbio gusto e molto ospitale.
    L’unico a non parlare mai era David, che lui scoprì essere Ser David Le Forêtier, comandante della scorta del Conte, il quale si limitava a ridere sommessamente alle battute.
    L’unica frase che il tileano udì dalle sue labbra fu “è ora”, poi il cavaliere si alzò, si assicurò le armi alla cintura, si gettò sulle spalle un pesante mantello ed uscì, seguito da tre arcieri.
    Pochi istanti dopo, fecero il loro ingresso altrettanti uomini infreddoliti, due dei quali erano Armand Bonhomme, che prese il posto di Ser David al tavolo del Conte e Ser Gualtiero da Pavona, che fu reclamato a gran voce da un gruppo di suoi amici, intenti in un’accesa discussione.
    Lo spadaccino si sentì smarrire in quell’atmosfera di festa, fino a quando un nome lo riscosse.
    Era stato proprio Armand, che durante una discussione aveva apostrofato il Conte di Annevie “André”.
    Sgarri era già rimasto stupito dal fatto che tanto i cavalieri quanto i semplici soldati si rivolgessero al proprio signore in modo estremamente familiare, ma l’arciere era stato il primo a chiamarlo per nome.
    Forse per via della birra scura, il tileano fece un’assurda associazione d’idee. –Voi siete André Lemec- Si scoprì a constatare a voce alta.
    Il Conte parve stupito. –Certo, sono André Lemec, avete anche combattuto per me nel reggimento di Steiner, perché vi stupite?-
    Altro che stupito, lui era esterrefatto, un nobile bretonniano che si desse al mercenariato era non solo una rarità, ma un vero scandalo.
    -Ma voi siete un mercenario!- Disse con voce sche tradiva chiaramente questi pensieri.
    Lemec bevve un sorso di birra e gli sorrise dal di sopra del boccale.
    -Ieri ero un mercenario, oggi sono un Conte… La vita sa giocare scherzi incredibili ai figli bastardi...-

    Sgarri si destò con la fastidiosa sensazione del dopo sbornia.
    Nella plumbea luce che filtrava dalle finestre, vide che era stato uno dei primi a sottrarsi al dolce abbraccio del sonno.
    La maggioranza degli uomini giaceva ancora addormentata sul pavimento della locanda o sui tavoli della stessa.
    Molti ricoprivano col proprio mantello anche le donne che con loro avevano condiviso la notte.
    Lui si alzò a fatica, masticando un paio di imprecazioni, per il dolore alle ferite, e si avviò a passo pesante verso l’esterno, per espletare ad un bisogno fisiologico.
    Le sentinelle erano ai propri posti, il silenzioso ma preciso susseguirsi dei loro cambi, nonostante la festa, era un chiaro indice del magnifico addestramento di quegli uomini.
    Nel superarli, Sgarri fu stupito di scoprire che una delle guardie era proprio il Conte Lemec, avvolto in un pesante mantello di pelliccia di mammuth, dal pelo tanto scuro da sembrare nero e col leone dipinto in bianco.
    Il nobile si staccò dal compagno per orinare accanto a Sgarri.
    -L’ultima volta che ci siamo visti mi pare di avere inteso che vi stavate recando in Tilea- Disse a mo’ di saluto.
    Lo spadaccino annuì. –Devo trovare una persona in questo villaggio, poi mi rimetterò in marcia.-
    Il bretonniano sorrise. –Io sto tornando ad Annevie, ti presterò un cavallo e potrai unirti a noi fino al mio feudo… Poi ti basterebbe superare il Piccolo Passo di Ulric e saresti a casa.-
    Sgarri non fece caso al cambio di registro nella parlata del Conte, quanto alla sua generosa offerta.
    -Mio signore- Esordì con una certa esitazione. –Voi mi onorate ma…-
    -Nessun onore- Lo interruppe il nobile. –Finché sarai con noi farai parte della mia scorta, ti guadagnerai il passaggio difendendomi dalle minacce che potrei incontrare.-
    Lui dubitava fortemente che André Lemec necessitasse di protezione, ricordava bene come il nobile avesse affrontato prima un campione dei perniciosi dei del chaos e poi un capoguerra orco, tuttavia l’offerta era allettante, così promise di pensarci.
    -Pensaci in fretta Sgarri, noi partiamo a mezzogiorno.- Lo salutò Lemec.

    Non dovette chiedere molto in giro, la figlia del suo amico era una delle ragazze che avevano passato la notte con i soldati.
    Si chiamava Delia ed era proprio la graziosa brunetta che lui aveva notato al suo ingresso nella locanda.
    Delia pianse sinceramente il padre, ma disse che la notizia non era per lei inaspettata.
    La madre lo aveva predetto l’estate precedente, alla morte del più piccolo dei suoi fratelli.
    Sgarri trovò la donna al cimitero di Sternim, sotto un bel martello scolpito nel legno dall’unico fratello superstite di Delia, ora arruolatosi nei provinciali di Altdorf.
    Il tileano si concesse nel piccolo cimitero il tempo di scolare una bottiglia di vino scadente, versandone in terra l’ultimo sorso come tributo all’amico, poi fissò i propri bagagli alla sella del cavallo prestatogli da Ser Gualtiero da Pavona e si mise in marcia con gli uomini di Lemec.
    Erano una trentina, preceduti da altri dieci esploratori, montati su agili corsieri.
    Come lui si era aspettato, gli abitanti del villaggio erano tutti alla locanda perché le loro abitazioni erano state adibite a stalle per la notte.
    Ogni uomo, arciere o cavaliere che fosse, aveva due cavalli e, notò Sgarri, vi erano diverse donne che cavalcavano accanto ai propri uomini.
    A quanto pareva, non tutte le ragazze della sera prima erano originarie di Sternim, probabilmente quel drappello andava facendo strage di cuori di villaggio in villaggio già da un po’.
    Fra le ragazze di Sternim che decisero di seguire i soldati vi era Delia, colta da passione per un arciere dagli occhi verdi, tale Henry detto “il bracconiere”.
    Quando il tileano gli aveva chiesto il perché di tale soprannome, lui si era stretto nelle spalle. –Di solito ai bracconieri i signori fanno tagliare una mano, o li impiccano… André mi ha chiesto da quale distanza avessi colpito il cervo che mi aveva scoperto a voler vendere, gliel’ho detto e lui mi ha risposto “Scegli tu, o essere impiccato come ladro o ricevere regolare stipendio, cibo, armi e protezione come membro del mio esercito”… Subito io mica ci credevo, ma poi è venuto fuori che diceva sul serio.-
     
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    Bel pezzo, quì vediamo un Umberto molto più ossequioso e rispettoso del solito ma ci sta' visto che il nobile è Lemec. Chissà cosa lo farà cambiare portandolo a guidare la Lega per una Tilea secessionista.
    E, parlando di Lemec, ecco che ci ho azzeccato! Era proprio lui il cavaliere di quel dì!
    Adesso dedichiamoci al nostro usuale correttore grammaticale:
    CITAZIONE
    Sgarri trovò la donna al cimitero di Sternim, sotto un bel martello scolpito nel legno dall’unico fratello superstite di Delia, ora arruolatosi nei provinciali di Altdorf.

    Non ho capito cosa intendi, la tizia è sotto un martello? E che ci fa sotto un martello? In un cimitero? Il martello bisogna saperlo portare, c'è chi può e chi non può, andrebbe bene come ornamento ad un ballo di gala ma in un cimitero! E' sotto un martello??
    CITAZIONE
    Il tileano si concesse nel piccolo cimitero il tempo di scolare

    "Si concesse, nel piccolo cimitero, il tempo".
    CITAZIONE
    versandone in terra l’ultimo sorso come tributo all’amico,

    Alla maniera dei marinai? Sgarri Marine Lagunare?
    CITAZIONE
    Come lui si era aspettato

    Quel "lui" è di troppo, "Come si era aspettato".
    CITAZIONE
    Fra le ragazze di Sternim che decisero di seguire i soldati vi era Delia

    Ciao Mamma!
     
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    CITAZIONE (Raistlin94 @ 30/8/2017, 01:57) 
    Sgarri trovò la donna al cimitero di Sternim, sotto un bel martello scolpito nel legno dall’unico fratello superstite di Delia, ora arruolatosi nei provinciali di Altdorf.

    Non ho capito cosa intendi, la tizia è sotto un martello? E che ci fa sotto un martello? In un cimitero? Il martello bisogna saperlo portare, c'è chi può e chi non può, andrebbe bene come ornamento ad un ballo di gala ma in un cimitero! E' sotto un martello??

    Sei perdonato!
    In warhammer fantasy il martello è sinonimo della croce nel nostro mondo, i seguaci di Sigmar si fanno il segno del martello per scacciare il maligno, o appena entrano nel tempio.
    Pertanto le tombe sono sormontate non da croci, bensì da martelli in legno (che a ben pensarci sarebbero praticamente uguali, ma pazienza).
    Quello che dico è quindi che lui la trova li sepolta.

    CITAZIONE
    Il tileano si concesse nel piccolo cimitero il tempo di scolare

    "Si concesse, nel piccolo cimitero, il tempo".

    Ogni tanto anche il re dell'inciso perde un colpo... Grazie della segnalazione!

    CITAZIONE
    versandone in terra l’ultimo sorso come tributo all’amico,

    Alla maniera dei marinai? Sgarri Marine Lagunare?

    Un'usanza abbastanza diffusa un po' ovunque, qualcun'altro avrebbe detto una preghiera, ma Sgarri non è credente, quindi mi è sembrato che la cosa migliore che potesse fare fosse appunto "offrire" un po' di vino.

    CITAZIONE
    Come lui si era aspettato

    Quel "lui" è di troppo, "Come si era aspettato".

    Work in progress...

    CITAZIONE
    Fra le ragazze di Sternim che decisero di seguire i soldati vi era Delia

    Ciao Mamma!

    Il duro mondo dei poveri cittadini imperiali...
     
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    In warhammer fantasy il martello è sinonimo della croce nel nostro mondo

    Credo che il martello sia solo per gli adepti guerrieri del culto, per quanto riguarda le commemorazioni penso venerino più la cometa a due code come simbolo simil-croce.

    CITAZIONE
    Il duro mondo dei poveri cittadini imperiali

    Semmai delle madri imperiali, nessuno se le caga, "Mamma, dopo il fratellino è arrivata la notizia del sicuro decesso del papà. Ah non mi aspettare mentre piangi al cimitero, io salgo sul cavallo del tipo che stanotte mi ha sbattuta in taverna insieme a qualche suo amico e parto per la prossima locanda. Scusa se non scriverò spesso ma ricordati di mandare i soldi. Ah dimenticavo, sono incinta, ma tranquilla! Morirà in qualche battaglia prima che tu lo possa conoscere! E se muori ed eredito la casa fammi scrivere da qualcuno così torno! Tvb!"
     
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    CITAZIONE (Raistlin94 @ 30/8/2017, 02:25) 
    In warhammer fantasy il martello è sinonimo della croce nel nostro mondo

    Credo che il martello sia solo per gli adepti guerrieri del culto, per quanto riguarda le commemorazioni penso venerino più la cometa a due code come simbolo simil-croce.

    Non ho informazioni su quale dei due sia più vicino al popolo, ma penso che il martello sia un simbolo più semplice (te l'immagini scolpire una cometa a due code per ogni tomba? Per fare un rozzo martello basta inchiodare due assi) per questo l'ho scelto.
    Sarebbe interessante sapere da qualche guru del BG quale sia la verità... Anche se probabilmente nessuna delle due visto che i cimiteri di solito sono intitolati a Morr e non a Sigmar... Ma vabbé.

    CITAZIONE
    Il duro mondo dei poveri cittadini imperiali

    Semmai delle madri imperiali, nessuno se le caga, "Mamma, dopo il fratellino è arrivata la notizia del sicuro decesso del papà. Ah non mi aspettare mentre piangi al cimitero, io salgo sul cavallo del tipo che stanotte mi ha sbattuta in taverna insieme a qualche suo amico e parto per la prossima locanda. Scusa se non scriverò spesso ma ricordati di mandare i soldi. Ah dimenticavo, sono incinta, ma tranquilla! Morirà in qualche battaglia prima che tu lo possa conoscere! E se muori ed eredito la casa fammi scrivere da qualcuno così torno! Tvb!"

    P.S.
    Mi sa che non scrivo proprio, ma chi è che sa scrivere?!
    Ah, mamma fai attenzione che nella foresta hanno visto gli uominibestia
     
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    L'ho letta tutta in un giorno, semplicemente bello. aspetto con ansia il continuo!
     
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