La saga di Umberto Sgarri

Un soldato imperiale, un ubriacone tileano, un eroe da osteria... Uberto Sgarri è tutto questo ed altro ancora

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    Mi piace la conoscenza che hai e l'attenzione ad alcuni dettagli come la spada "bastarda". Però non mi è piaciuto molto l'intervento en passant dei cavalieri bretonniani. Forse avresti potuto rallentare la loro "fuga" alla fine dell'episodio perché così la sensazione che lasciano è un po' posticcia.
     
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    concordo, finito troppo tardi... si poteva tagliare e mettere nel pezzo dopo! :)
    sempre molto bello e con ritmo cadenzato che non stanca e rende piacevole il tutto.... dettagliato chiaro e preciso! Sgarri va alla grande! :see:

    come sarebbe a dire impaginato?? :nuuu: e gli "a capo".. i dannati "a capo" ?? :titto:
     
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    Ovviamente per impaginazione intendo che vado a capo... Non pretendete troppo dalle mie scarse capacità wordistiche :D

    Quanto alla fuga... a ben pensarci nella saga ci sono diversi personaggi che appaiono solo per poi scappare di corsa, pensate per esempio ad André Lemec che appare, scanna un campione del chaos e poi se ne va per "ragioni personali" o la stessa Arys, che arriva con questa sua segreta missione, di cui non rivela nulla... O il Capitano Tharnem che non fa quasi in tempo ad essere amato che già esce di scena....
    L'unica cosa che posso dire, parafrasando il Gran Teogonista, è "abbiate fede" tutto sarà spiegato, perfino il motivo per cui il Conte di Annevie preferisca combattere a piedi (eresia, un cavaliere bretonniano che non combatte in sella?!)
     
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    CITAZIONE (Dahu @ 2/12/2014, 11:27) 
    tutto sarà spiegato, perfino il motivo per cui il Conte di Annevie preferisca combattere a piedi (eresia, un cavaliere bretonniano che non combatte in sella?!)

    anche loro avranno l'emorroidi :asd:

    avremo fede... ma se tradisci la nostra fede per te vi sarà solo una cravatta di canapa ad abbellire il tuo cadavere quando messer Belzebù verrà a prenderti! :see:
     
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    Una cravatta di canapa ben insaporite. Il problema non è il fatto che ci siano personaggi che fanno comparse molto brevi. Nei casi che hai elencato i vari personaggi si inseriscono bene nel contesto e si armonizzano con la storia. Il fatto di abbandonarli presto seguendo il protagonista e il lasciarli pur con questioni irrisolte non è un problema. Lo diventa solo nell'ultimo episodio. Qui i cavalieri compaiono quasi dal nulla materializzandosi in mezzo alla mischia senza nemmeno uno squillo di tromba o un tremolio del terreno. Allo stesso modo se ne vanno, secondo me sarebbero risultati meno buttati li se la parte successiva al combattimento fosse stata più studiata. Il medicare un cavaliere ferito avrebbe potuto costituire un'ottima scusa pur senza dover coinvolgere eccessive spiegazione tra i due gruppi.
     
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    Ho divorato questi racconti in pochissimo tempo. Dov'è finito il nostro narratore? Perchè non va avanti? Perchèèèèèè?
     
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    Ragazzi mi dovete scusare, sfortunatamente sono sprovvisto di connessione internet.
    La potrò avere il 9 e il 10, in tali occasioni prometto uno o più aggiornamenti!
     
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    :yoh:
    Dahu!! Il nostro narratore! :D
     
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    Così mi fate arrossire! :wub:

    Ecco a voi l'aggiornamento promesso… Siccome non ci sarò per un po'… lo faccio bello lungo!

    Sgarri si accostò all’elfa che giaceva prona nella neve macchiata di sangue. Il corpo snello di lei era esanime. Il tileano la girò delicatamente e ne osservò il viso pallido e privo di vita. Sentì il cuore perdere un battito. –Dai- La incitò –Non puoi creparmi adesso, su dai!- Così dicendo le tastò il collo con due dita; il battito era debole, ma c’era. Per lo meno era viva. Un poco sollevato Sgarri accostò l’orecchio destro alla bocca della giovane e ne sentì il respiro, leggero come quello di un uccellino ferito. Il tileano era sollevato, poiché a vederla in quelle condizioni l’aveva creduta morta, ma era ancora preoccupato per la ferita che stava macchiando di rosso la tunica della bella guerriera. Con gesto risoluto Umberto trasse il suo coltellaccio e tagliò le vesti dell’elfa, per mettere a nudo la ferita. Con uno strattone finì di strappare la tunica e lasciò cadere nella neve i due lembi. Si trattava di una gran brutta ferita e lo spadaccino era davvero stupito che la giovane riuscisse ancora a camminare dopo diversi giorni. Una freccia l’aveva colpita all’addome, penetrando in profondità ed uscendo in prossimità dell’ombelico. L’elfa aveva tagliato la punta e tentato di estrarre l’asta, ma una parte del legno doveva essere rimasta nella ferita, poiché il ventre della giovane era violaceo e gonfio, segno evidente di una infezione. Tentando di ignorare il sangue che fuoriusciva dai due fori, Sgarri avvicinò le mani alla ferita; doveva allargare col pugnale il foro di entrata, così da poter estrarre le schegge rimaste. Sarebbe stata un’operazione inutile se il dardo avesse leso organi interni, ma se la giovane era sopravvissuta per così tanti giorni era evidente che, per fortuna o per magia, nessun organo interno era stato toccato dall’arma. Il tileano vide le sue mani coperte di sangue nero e decise di lavarle nella neve, quindi brandeggiò il coltellaccio. Dovette respirare profondamente un paio di volte, ma alla fine trovò il coraggio. Mise tra i denti della guerriera un pezzo di legno e le bloccò le mani sotto un ginocchio, quindi le poggiò la sinistra sul ventre gonfio ed avvicinò il coltello. Fu rapidissimo nell’incisione, ma il dolore fu lo stesso intenso. Lei si svegliò all’improvviso e digrignò i denti così forte che, se non avesse avuto il pezzo di legno, se li sarebbe spezzati. Le sfuggì un urlo agghiacciante mentre tentava di sottrarsi alla presa dello spadaccino. Ma lui riuscì a tenerla bloccata grazie al suo peso e le infilò due dita nella ferita. Per fortuna il pezzo di asta era rimasto intero ed abbastanza superficiale; fu facile afferrarlo. Con uno sforzo enorme per trattenere il legno reso viscoso dal sangue, Sgarri riuscì ad estrarlo dalla ferita. Arys sputò il legno ed urlò mentre le lacrime le scendevano dagli occhi, poi una fitta di dolore fu troppo intensa per lei e svenne nuovamente. Il tileano ne fu sollevato, poiché toccare un ferito era in assoluto la cosa che lo spaventava di più nel suo lavoro. Aveva curato decine di ferite, ma non avrebbe mai scordato nessun gemito di nessun ferito che aveva soccorso. Era una cosa che lo turbava profondamente, anche se non lo dava a vedere. Il tileano tagliò due strisce da ciò che era rimasto della tunica di lei e le usò come tamponi per bloccare l’emorragia, quindi le fissò con bende di circostanza della stessa provenienza. Arys si svegliò in un riparo di fortuna, costruito con dei rami che chiudevano l’unico lato aperto di un anfratto di roccia. L’aria era profumata dal fumo di resinose che, sprigionato da uno scoppiettante fuoco, ristagnava leggermente nel riparo prima di perdersi in un apposito varco tra i rami. Faceva molto caldo e la giovane stava sudando. Si accorse di essere stesa su un giaciglio di aghi di pino foderati dal mantello del tileano e protetta sotto due coperte. Sgarri non c’era. L’elfa si tastò la ferita, che le doleva terribilmente, e tentò di alzarsi, ma una terribile fitta alla testa la obbligò a desistere. Solo allora si accorse di essere completamente nuda, fatta eccezione per il suo perizoma di fibre vegetali intrecciate. Il tileano entrò nel riparo scostando una frasca. Tremava di freddo perché aveva usato il mantello per rendere più confortevole il riparo dell’elfa ed appariva molto stanco. Appena si richiuse la porta dell’angusto rifugio alle spalle, Sgarri notò che la giovane era sveglia e s’illuminò. Aveva un bell’aspetto nonostante il pallore e doveva aver bevuto la tisana curativa che le aveva lasciato, poiché non sembrava affatto febbricitante. Il tileano la osservò per un lungo istante, poi l’occhio gli cadde sui piccoli seni tondi che la guerriera aveva involontariamente scoperto abbassando un braccio e lo spadaccino arrossì visibilmente mentre distoglieva lo sguardo. Lei parve accorgersi dell’imbarazzo del soldato e si coprì. Con un enorme sforzo la giovane si puntellò sui gomiti. –Dove siamo?- Domandò con voce debole e rotta dall’affanno. Sgarri prese a pestare un pezzo di corteccia tra due sassi e le rispose senza guardarla, poiché ancora il rossore non era del tutto sfumato dal suo viso spigoloso. –A poche decine di metri dalla pista; ho trovato un anfratto sotto un roccione e ho allestito il campo… Dovrai riposare per qualche giorno.- L’elfa annuì, il dolore stava aumentando e le pareva quasi di sentire il sangue che le premeva sulla ferita con l’intento di fuoriuscire. Sgarri versò il vegetale pestato in un pentolino di acqua che aveva fatto scaldare e lo porse alla giovane. –Bevi- Le ordinò –Ti farà dormire- L’elfa annuì in silenzio e bevve. Pochi minuti dopo dormiva beatamente ed il tileano si distese accanto a lei, preparandosi per una notte fredda senza la sua coperta. I due giorni seguenti passarono rapidi, mentre Sgarri esplorava la foresta in cerca di cibo. Il terzo giorno riuscì a catturare un cervo, segno che i due avrebbero smesso di attingere alle già scarse provvigioni del tileano. Arys era molto migliorata ed aveva anche ripreso colore, tuttavia Sgarri le aveva proibito di provare ad alzarsi. Ora che avevano cibo in abbondanza Sgarri usciva di rado, solo per controllare i dintorni o per governare il cavallo. La gran parte del tempo lo passava con Arys, a parlare del più e del meno. Più che altro lei gli parlava di Loren, la sua amata foresta. L’elfa parlava degli spiriti degli alberi e descriveva il comportamento degli animali. Sgarri invece le raccontava degli amici e compagni d’armi, delle sbronze negli accampamenti e delle fughe dalla ronda cittadina, ogni volta che le raccontava delle pazzie fatte con qualche amico lei rideva con quel tono cristallino che al tileano ricordava tanto un ruscello di montagna, e poi gemeva per la ferita. Andarono avanti così per una intera settimana. Una sera Sgarri stava dormendo sotto la coperta che da alcuni giorni si era ripreso, ma qualcosa lo svegliò. Stava tentando di capire cosa ci fosse di strano quando sentì un fiato caldo sull’orecchio destro. Una voce musicale gli stava sussurrando qualcosa, parole che sapevano di sole e mele mature. –Non significa nulla, sia chiaro, voglio solo ringraziarti per avermi salvato la vita- Il tileano ebbe appena il tempo di riconoscere la voce dolce dell’elfa, prima di avvertirne il respiro che si avvicinava, fino a fondersi con il suo, in un bacio appassionato quanto inaspettato. Lei s’infilò sotto la coperta del soldato e lui si accorse che era coperta solo dalle bende che le fasciavano la ferita. Si amarono teneramente, assaporando ogni momento, mentre il fuoco proiettava le loro forme sulle pareti dello spartano riparo. Sgarri si addormentò abbracciato a lei, il viso affondato nel profumo dei suoi capelli. Erano anni che non si sentiva così sereno e, per un istante, credette di aver trovato un futuro diverso, una bella donna con cui condividere una vita di tranquillità. Poi lei allungò il braccio affusolato per tirarsi di fianco la spada e Sgarri si ricordò dove si trovava. Si in un giaciglio con una donna meravilgiosa, ma anche nel mezzo di una foresta brulicante di nemici e pericoli di ogni genere. Come faceva da anni allungò la destra ed impugnò la daga; era così che dormiva un soldato, sempre vigile, mai tranquillo, mai sereno. E prima di addormentarsi Sgarri pensò per un istante al buon vecchio Malatesta ed ai suoi primi anni da mercenario. Che razza di vita.



    Il tileano si destò di soprassalto. La lieve luce grigia che filtrava dal foro per il camino mostrava il riparo vuoto. Il fuoco spento emanava ancora un lieve filo di fumo e tutte le vettovaglie, fatta eccezione per la coperta sotto la quale Sgarri stava dormendo, erano svanite. Con un enorme sforzo lo spadaccino si alzò e si assicurò la cintura delle armi alla vita. Fuori dall’angusto riparo la mattinata era grigia, segnata da una pioggerellina quasi primaverile che marciva la neve. L’elfa stava governando il cavallo e l’aveva già sellato e caricato di tutte le masserizie. Umberto si stirò la schiena e le si avvicinò per darle un bacio. Ma Arys si scostò. Sgarri annuì. Non era significato niente. –Andiamo?- Domandò l’elfa. –Ho una missione da compiere e sono in ritardo.- Il tileano si concesse un lungo istante per far scemare ogni speranza di una vita diversa, ogni aspettativa, ogni emozione che fosse nata nell’ultima notte. Rimase così, fissando il cielo plumbeo, poi si mosse improvvisamente. –Monta tu a cavallo, ti ricordo che sei ancora in convalescenza- Se c’era una cosa che l’elfa aveva capito di Sgarri era che discutere con lui sortiva gli stessi effetti di una discussione con un mulo sordo, per cui balzò agilmente in groppa alla macilenta cavalcatura dello spadaccino, per una volta, senza protestare. Procedettero in silenzio per alcune ore, entrambi immersi nei loro pensieri. Sgarri era così assorto dalla nube di vapore prodotta dalle sue narici che appariva totalmente alienato. L’elfa al contrario aveva lo sguardo mobile e nervoso, tipico di chi si aspetta un agguato. Ma non vi furono agguati, in verità i viaggiatori non incontrarono anima viva per ore. Fino a che non giunsero alla loro meta di tanti giorni prima; il bivio per Volfenbourg. Il cielo si era leggermente schiarito, divenendo bianco come il latte e la pioggia era cessata. Il freddo era molto intenso e Sgarri si ricordò improvvisamente del suo stivale rotto. Quanto lo detestava. Ora che ci pensava non sapeva darsi una spiegazione per il modo in cui aveva trascurato quell’odioso particolare del suo corredo negli ultimi giorni. I pensieri del tileano furono interrotti da Arys che balzò agilmente a terra. I due si fissarono. Sgarri sembrava un vecchio, con quel viso pieno di premature rughe e la barba incolta. Arys invece sembrava essersi ripresa magnificamente ed appariva fresca come una rosa nella sua tunica dal fondo strappato. Aveva gli occhi grigi ed un colorito molto pallido, ma il suo sguardo era determinato. Fu proprio lei ad interrompere il silenzio. –Bene- Disse con la sua musicale voce di elfa –è ora che io vada… Addio- Sgarri annuì e prese le briglie che lei gli porgeva. –Addio Arys- L’elfa si avviò lungo la strada per Volfenbourg con passo leggero e rapido. Lo spadaccino si strinse nel mantello delle asce nere ormai sbiadito e sorrise tristemente. –Cosa ti aspettavi Umberto?- Si disse –è un’elfa, ti ha usato per la sua missione ed ora che non le servi più ti butta via… Che asino.- Il tileano sbuffò e sorrise al cavallo –Senza offesa eh fratellino?!- L’animale parve capirlo perché sbuffò. In realtà si rivolgeva all’elfa, come Sgarri scoprì non appena si voltò. Prima che lui potesse parlare lei gli mise un involto tra le mani. –è un monile rituale, dimostra che hai aiutato un membro del popolo di Loren.- Sgarri tentò di ribattere –Ma tu hai detto di non vivere più a Loren- Ma l’elfa lo zittì con un leggero bacio sulla guancia. –Grazie- Disse prima di scomparire nel bosco. Lo spadaccino rimase li, in piedi nella neve con il pacchetto in mano a fissare gli alberi. L’involto era di foglie secche, il tileano lo aprì e vide un piccolo monile di legno con una pietra azzurra nel centro. Il ciondolo era fissato ad un laccio di una fibra vegetale che non aveva mai visto prima. Umberto non sapeva per quanto era rimasto così, a fissare il nulla, ma ad un certo punto si decise e si mise al collo l’ornamento, nascondendolo dentro la camicia. Pochi secondi dopo era in viaggio, seguendo le tracce di una carrozza passata di li poche ore prima.



    Le prime ombre della sera calavano rapidamente sulla foresta innevata e silenziosa.
    Unico rumore era il sordo rimbombo di zoccoli al passo, quasi timidi sulla neve marcia della pista.
    Il cavaliere avanzava curvo sulla sella, oppresso dal peso del mondo che gli stava attorno. Gli abiti gli cadevano addosso come stracci informi e coprivano una parte della macilenta cavalcatura. A guardarli negli occhi l’uomo ed il cavallo avevano la stessa stanchezza, gli stessi affanni del magro corpo del quadrupede erano scolpiti sul volto del cavaliere.
    Gli occhi dell’uomo erano appannati, assenti, come quelli di chi ha appena perso l’innocenza. Eppure l’innocenza quell’uomo l’aveva persa molti anni prima. Era stato molte cose, boscaiolo, mercenario, soldato, cacciatore di taglie, ubriacone e fuorilegge, ma innocente no; quello non lo era.
    Egli era un uomo di ventisei anni, che aveva vissuto come un sessantenne. Un ragazzo con l’esperienza di un vecchio saggio e la saggezza di un vecchio ubriacone. Egli era Umberto Sgarri, tileano di nascita e vagabondo di mestiere.
    Lo spadaccino guardava la pista senza vederla realmente, immerso nei suoi pensieri. Stava per raggiungere una carrozza, questo li suo cervello lo aveva registrato, certo, non poteva farne a meno, ma non pareva interessarlo. Avrebbe porto i suoi saluti velocemente e sarebbe passato oltre. Il suo pensiero al momento era rivolto alla sbronza che si sarebbe preso poche ore più tardi, appena arrivato ad Ulrichland. Avrebbe portato ordine e promessa di pagamento al fabbro, dopo di che avrebbe venduto il cavallo per pagarsi la bevuta e si sarebbe ubriacato tanto da svenire. A come arrivare ad Altdorf avrebbe pensato più tardi.
    In realtà non sapeva neppure se andarci, ora non gli interessava più molto tornare in Tilea. Non gli interessava più nulla.
    Questi erano i suoi pensieri mentre avanzava nella sera, rapito dal ritmico passo del cavallo.
    Lo sguardo fisso alle tracce delle ruote. quattro cavalli da tiro, quattro ruote, probabilmente una diligenza tra Volfenburg e Middenehim. Ruote e zoccoli, due ruote e diciotto zoccoli, due ruote e diciotto zoccoli, diciotto zoccoli. Una luce passo come un lampo negli occhi dello spadaccino, le sue pupille si dilatarono come quelle di un rapace in procinto di cacciare. Diciotto, sedici pieni e due ungulati, ora quattro ungulati, venti totali, dodici ungulati… Una banda di predoni uominibestia! Il lampo si tramutò in una luce feroce ed il viso del soldato s’illuminò di un colore selvaggio mentre spronava la sua povera cavalcatura.
    I predoni avevano scelto bene il punto dell’imboscata, subito dietro una curva cieca.
    Il primo suono che distinse furono i familiari grugniti degli uominibestia, poi il cozzare dell’acciaio ed infine le bestemmie degli uomini. L’occhio allenato del militare colse immediatamente i punti salienti dell’azione; dietro la curva vi era la diligenza, bloccata da un tronco buttato di traverso sulla strada. A terra c’erano cinque cadaveri, tre uomini e due mostri. Due indossavano la divisa dei provinciali di Middenheim ed uno brandiva un martello da guerra, probabilmente si trattava di un guardavia. Altri tre uomini si stavano battendo contro una ventina di nemici. Due provinciali tentavano di proteggersi a vicenda combattendo vicini, mentre il terzo uomo non sembrava curarsi della propria incolumità, impegnato com’era a sfondare crani e fracassare ossa col suo martello da guerra. Non era un guardavia l’uomo; aveva il cranio rasato ed un logoro mantello cremisi che gli copriva un’armatura nera.
    Dall’aspetto pareva un prete del culto di Sigmar.
    Sgarri afferrò la sella con entrambe le mani e si diede lo slancio, balzando sul nemico più vicino come un felino da preda. Il Nogor aveva appena fatto in tempo a voltarsi, quando lo spadaccino gli rovinò addosso schiantandolo contro un albero. Lo schiocco delle ossa del mostro che si frantumavano contro il duro legno d’abete zittì i combattenti.
    Vi fu un breve istante di silenzio, rotto dal nuovo arrivato che estrasse le sue lame con gesto fluido, facendo svolazzare il mantello. Sgarri si scagliò nella mischia ed il suo urlo di guerra parve più il terrificante ruggito di una belva.
    ULRICH!
    Il primo nemico; un Gor armato di ascia, assalì il tileano, ma questi schivò il fendente nemico e vibrò la spada, che trapassò le carni mutate dal caos, piantandovisi fino all’elsa. Lo spadaccino estrasse l’arma con un grugnito di soddisfazione e la usò per deviare una seconda ascia, prima di piantare la daga nel braccio che la reggeva. Il nemico urlò di dolore, ma la daga si piantò nella sua gola e l’urlo divenne un gorgoglio, mentre Sgarri colpiva con un calcio un terzo avversario.
    Il tileano si batteva con furore e passione, sfogando nella lotta tutte le emozioni che lo avevano oppresso nelle ultime ore. Dal canto suo anche il prete pareva ben contento di contribuire martellando i nemici. La lotta durò pochi minuti, poi rimasero solo due figure a stagliarsi sanguinolente e terribili contro il profilo della foresta, illuminate dalla lanterna della diligenza. L’una muoveva lentamente le sue lame, sciogliendosi le spalle, l’altra aveva poggiato a terra il martello e si stava segnando con la mano destra. Una figura imprecò asserendo che la neve gli era entrata nello stivale rotto.


    Sgarri si voltò a guardare il prete sigmarita. Si trattava di un uomo imponente, alto quasi quanto lui e dalle spalle già enormi ulteriormente ingrossate dalla pesante armatura nera come la notte. Sull’armatura pendeva inerte un mantello di lana grezza lacero e dal colore ormai spento. Non portava i bracciali dell’armatura, due corte maniche di cotta di maglia uscivano dagli spallacci e terminavano prima del gomito, lasciando vedere due avambracci nerboruti, grandi quasi quanto le cosce di Sgarri. Ai polsi il prete portava due bracciali di ferro con la rappresentazione della cometa a due code della stessa fattura della semplice corona che gli cingeva il cranio rasato. Il suo volto era sfregiato da decine di cicatrici, una delle quali proseguiva lungo la sommità del cranio, fin quasi alla nuca. La sua espressione sembrava scavata nella pietra e gli occhi grigi erano freddi e duri come il ghiaccio. La testa dell’enorme martello a due mani cadde pesantemente nella neve e il prete poggiò entrambe le mani sul manico, contemplando con lo sguardo l’uomo che lo aveva aiutato, arrivando come una furia nella radura.
    La voce del sigmarita era ancora più metallica dei suoi occhi –Chi sei uomo?- Sgarri distolse lo sguardo, messo a disagio dal suo interlocutore e fissò il luogo dello scontro alla luce delle lanterne della diligenza. Un corpo si muoveva ancora e lui si diresse in quella direzione con le lame insanguinate ancora sguainate. –Mi chiamo Umberto Sgarri- Disse camminando verso la grossa ombra –Sono un ex soldato imperiale- I’altro lo seguì ad un paio di passi di distanza, mentre i due soldati provinciali sopravvissuti restavano in silenzio. –Io sono Orazio Swartz, alfiere del grande Sigmar-
    Sgarri bestemmiò sonoramente, incurante della presenza del prete, che sussultò quasi fosse stato ferito, ma non replicò. L’ombra apparteneva al cavallo del tileano, rimasto mortalmente ferito da una lancia. Senza perdere un secondo lo spadaccino affondò la spada nel cuore dell’animale, per abbreviare le sue sofferenze. Quando il corpo del quadrupede si rilassò nella morte lo spadaccino si concesse un’altra bestemmia e maledisse gli uominibestia. –Siete un buon credente?- Domandò il prete mentre il mercenario liberava il corpo del cavallo dai bagagli, non senza fatica. Sgarri gli rivolse un grugnito interrogativo. –Seguite il verbo del dio imperatore?- Specificò Orazio Swartz.
    Sgarri sbuffò mettendosi in spalla i bagagli e scosse lo stivale rotto per fare uscire la neve che vi era entrata. –Ammazzo i nemici dell’Impero come faceva lui, se è questo che intendete- Orazio scosse la testa –Ne deduco che non siete né un seguace di Sigmar né v’interessate al suo culto- -Io m’interesso a quello che mi mette soldi in tasca e cibo in pancia. Ora scusatemi ma dovrei mettermi in marcia visto che correre in vostro aiuto mi è costato il cavallo- Rispose aspramente il tileano. Il prete abbozzò un sorriso affettato sul suo volto di granito. –Non ho chiesto il vostro aiuto e non gradisco la compagnia di un eretico bastardo quale voi a mio parere siete, ma il minimo che posso fare è invitarvi a dividere la diligenza con noi- Sgarri si voltò ed accennò col capo al veicolo nel quale sedevano con aria spaventata due signore dall’aspetto benestante ed un grassone dalle vesti preziose. Orazio parve intuire i pensieri del Tileano perché palleggiò con aria inquietante il grande martello nella mano destra ed aggiunse –Sono certo che i passeggeri non avranno nulla da ridire a condividere il veicolo con un valoroso soldato-
    Il grassone fece per dire qualcosa, ma un’occhiata del prete bastò a congelarlo con la bocca mezza aperta. Sgarri lanciò uno sguardo alla diligenza, poi alla foresta scura, quindi alzò le spalle in segno di resa e gettò i bagagli sul tetto del veicolo. Il Tileano pulì accuratamente le armi nella neve e, dopo averle minuziosamente asciugate nella casacca di un soldato morto, le ripose. I due soldati provinciali avevano già provveduto a ripulire i cadaveri da qualsivoglia oggetto di valore, per cui lui non si preoccupò di controllare, si sarebbe fatto offrire da bere dal prete.
    Lo spadaccino sedette accanto al grassone, di fronte ad una giovane bionda dall’aria altezzosa, che lo guardò con un misto di repulsione ed inquietudine. L’imponente figura di Swartz si lasciò cadere pesantemente sulla panca di legno accanto alla bionda, mentre i due militari montavano a cassetta. Un attimo dopo la diligenza ripartì.
    La tensione era palpabile; le lanterne erano progettate per illuminare la pista, non l’abitacolo, per cui nella penombra si distingueva ben poco, giusto i tre borghesi che reggevano i borselli, preoccupati dalla presenza di quel giovane barbuto e Orazio, che guardava fuori dal finestrino con aria assorta, il mento poggiato sulla testa del martello da guerra. Sgarri si tirò su il cappuccio del mantello e tentò di prendere sonno, ma sentiva gli occhi degli uomini bestia su di lui, non poteva vederli, ma sapeva che i sopravvissuti della banda li stavano seguendo dal bosco.
    La diligenza arrivò ad Ulricland tre ore dopo, in piena notte. Il villaggio sorgeva in una radura ed era cinto da una palizzata alta due volte un uomo. Lungo il muro di tronchi, ogni tre passi, vi era un braciere sempre acceso che illuminava il bosco circostante. Il cancello fu aperto da cinque alabardieri delle truppe provinciali di Middenehim che rivolsero sguardi torvi al prete sigmarita, il quale li ignorò. Sgarri si voltò dall’altra parte; era stato un errore rivelare il suo nome, era ancora ricercato per omicidio a Middenehim. Era molto improbabile che qualcuno lo riconoscesse, ma non era da escludere che qualche veterano potesse ricordarsi di lui, specialmente ad Ulricland che era stato suo luogo di passaggio per anni.
    Il villaggio era piccolo, con un’unica locanda e poche case, ma era ancora pieno di vita nonostante l’ora. Il veicolo si arrestò nella piazzetta centrale ed i passeggeri scesero a terra. Nel seguire i compagni, che si allontanavano con passo svelto verso la locanda, la bionda scoccò uno sguardo malizioso a Sgarri.
    Orazio guardò il tileano con aria interrogativa. –Birra dopoguerra?- Disse semplicemente, tradendo un passato da soldato. Era infatti tradizione di molti reparti bere tutti assieme al rientro da un combattimento. Sgarri sorrise al prete –Vi raggiungo, devo passare dal fabbro- Orazio annuì e, assicuratosi il martello alla schiena tramite un’apposita asola della catena che portava a tracolla, si diresse anch’egli verso l’accogliente luce del basso edificio con l’insegna “Locanda del lupo grasso”.
    Lo spadaccino si diresse invece, coi bagagli a tracolla, verso la bottega del fabbro. Come al solito era chiusa, ma lui sapeva che il retrobottega era un laboratorio con la fornace, per cui vi si diresse a passo sicuro.
    Una debole luce che filtrava dalla porta di servizio e un suono ritmico di ferro battuto gli diedero ragione. Sgarri bussò alla porticina, unico intermezzo di legno nella costruzione di pietra. Gli aprì un giovane robusto dal viso squadrato. –Desiderate?- Domandò l’uomo, che indossava un grembiule di cuoio ed impugnava un grosso martello. –Sono il messo delle Asce Nere, porto un ordine di teste di alabarda e la promessa di pagamento- Il Giovane si voltò verso la bottega. –Padre!- Urlò –Un messo delle Asce Nere!- Nella cornice della porta apparve un vecchio che rivolse a Sgarri un sorriso sdentato –Entrate, entrate giovanotto!-
    Il retrobottega era interamente in pietra, fatta eccezione per un tavolo ed alcuni sgabelli, e dalla fornace irradiava un piacevole calore. Il giovane fabbro si mise nuovamente al lavoro su una staffa per costruzioni, mentre il padre faceva accomodare Sgarri al tavolo e gli versava una tazza di vino rosso.
    Il tileano accettò con piacere il vino ed il tozzo di pane nero che lo seguì mentre mostrava i documenti al vecchio. Questi annuiva mentre strizzava gli occhi per riuscire a leggere. Poi qualcosa attirò la sua attenzione e lui s’interruppe improvvisamente.
    -Dico giovanotto, ma quella spada che portate, non l’avete per caso acquistata qui?-
    Sgarri era impressionato, il vecchio fabbro era sempre stato un vero maestro nel suo mestiere, ma credeva che la vecchiaia lo avesse ammorbidito, invece aveva ancora un occhio straordinario per i metalli.
    Negare era inutile, quindi Il tileano assentì e sguainò l’arma. Il vecchio emise un singhiozzo strozzato. –Per Ulric ragazzo, cosa ci avete fatto con questa povera lama?! Per ridurla in questo stato dovete averci tagliato la legna!- Sgarri sorrise debolmente –Ci ho combattuto mastro fabbro, ci ho combattuto molto- Il vecchio prese la spada e la carezzò come fosse viva.
    -Mi ricordate tanto uno di quei ragazzi che servivano nei lupi di Ulric giovanotto, guerrieri straordinari quelli, è stato un onore armarli- Sgarri sentì un brivido lungo la schiena e si voltò di scatto, quasi si aspettasse di veder entrare gli alabardieri da un momento all’altro. –Ho servito nei Lupi, ma ho cambiato reparto da tanti anni- Disse per dissimulare la tensione.
    -Certo…- Rispose il vecchio, che in realtà non lo ascoltava, assorto com’era dalla spada.
    -Klaus- Chiamò l’anziano. Il fabbro smise di battere la staffa e si allontanò dalla fornace. –Vammi a prendere un panno e del grasso- Il Giovane annuì e sparì nella bottega, mentre il vecchio si sedeva alla mola e bagnava la pietra con una ciotola d’acqua. Affilò la lama in silenzio, quindi la passò abbondantemente col panno ingrassato. Infine la contemplò alla luce della fornace. Sgarri aveva assistito alla scena con ammirazione, affascinato dalla passione che il mastro fabbro riversava nel suo lavoro. La spada emanava liquidi riflessi e sembrava ringiovanita di anni, anche se era ancora orrendamente sbeccata.
    -Tieni ragazzo, non può essere riparata, ma dopo questo trattamento la puoi maltrattare ancora per un bel pezzo prima che si spezzi- Disse il vecchio restituendo l’arma allo spadaccino.
    -Grazie mastro fabbro, ma non ho di che pagarvi- Il vecchio sorrise maliziosamente –Non vi preoccupate soldato, Steiner è un bravo guerriero, ma a matematica è messo male, con quello che gli spillo ogni volta che mi fa un ordine di spade ne affilo gratis anche cento-
    Sgarri sorrise quasi affettuosamente al vecchio, avrebbe voluto ricordargli di quella volta che si erano ubriacati assieme e di quando aveva comprato quella spada, ma non poteva permettersi di essere riconosciuto. Con un misto di malinconia ed affetto lo spadaccino salutò ed uscì in strada.


    Spero abbiate digerito l'aggiornamentone :D
     
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    Bene avanti col seguito adesso!
     
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    scusa se m'era sfuggito ma ora ho letto tutto! :D

    Adoro le descrizioni minuziose delle azioni dei personaggi che fai... la scena in fucina particolarmente! ;)
     
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    Ladruncolo di strada

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    Ebbene si, dopo lunga ed imperdonabile latitanza… Rieccomi!


    Aveva preso a nevicare debolmente ed il freddo era molto intenso. Il tileano si diresse a passo sicuro verso la locanda. Giunto nella piazzetta già pregustava una bella birra, ma vide un gruppo di uomini apparire da dietro l’angolo della locanda. Impugnavano le alabarde ed uno urlò –Eccolo, è lui!- Sgarri si sentì mancare il terreno sotto i piedi. Lo avevano trovato. Per un istante ripensò allo sguardo della bionda, doveva essersi accorta che lui aveva nascosto il viso agli alabardieri. I soldati corsero verso di lui e lo accerchiarono. Con un riflesso automatico Sgarri sfoderò le sue lame.
    -Arrenditi Umberto Sgarri, ricercato per conto di sua eccellenza il Conte elettore- Gridò con voce stentorea un alabardiere. Il tileano si guardò attorno con aria furtiva, si sentiva un lupo braccato dai cani. –Sentite bastardi- Disse con tono d’acciaio –Non vi voglio ammazzare perché siete dei bravi ragazzi che fanno il loro lavoro, ma non vi permetterò di ammazzare me, per cui direi che se ora mi lasciate andare siamo a posto eh?-
    Ma i provinciali non avevano intenzione di demordere. In quella fecero la loro comparsa una decina di cavalieri del lupo bianco in sella ai loro destrieri. Uno solo rimase in arcione, mentre gli altri accerchiarono i tileano, maneggiando i loro martelli da guerra. Sgarri si preparò allo scontro.
    -Ehi!- Ringhiò una voce metallica –Che accidenti volete da quell’eretico bastardo, eretici bastardi?!- I cavalieri si voltarono. Orazio Swartz era appena uscito dalla locanda ed avanzava verso il gruppo con le braccia aperte in posa interrogativa. Un cavaliere gli diede sdegnosamente le spalle –Fattti gli affari tuoi baciamartelli- gli disse.
    Il prete posò una mano sulla spalla del cavaliere che lo aveva insultato e lo tirò con forza insospettabile, facendolo ruzzolare in un mucchio di neve. Un altro cavaliere brandeggiò il martello per colpire il prete –Schifoso sigmarita!- Ringhiò.
    Orazio bloccò il braccio avversario con la destra, mentre con la sinistra sferrava un terrificante pugno al volto del cavaliere, che cadde carponi reggendosi la mascella fratturata.
    -Qualcun altro ha commenti idioti sulla mia confessione religiosa?- Domandò bellicosamente il prete. Il cavaliere ancora in sella si rivolse allo spadaccino –Umberto, non so chi sia questo tizio che ti difende, ma so benissimo che tu da solo sei più che sufficiente a fare a fette questi imbecilli che mi porto dietro. Ma noi non ce ne andremo. Scegli, ucciderai tutti questi soldati e scapperai o ti arrenderai? Io so che ti arrenderai, perché sei un bastardo onorevole.-
    A parlare era stato Orson Hijdem, precettore dei cavalieri del lupo bianco e vecchio commilitone di Sgarri. Avevano combattuto assieme a Kislev, dove Orson aveva perso l’occhio destro.
    -Il guaio- Disse Sgarri in tono grave –è che mi conosci bene- Il tileano sbuffò frustrato, quindi fece roteare le armi in modo da reggerle per la lama e le porse ad un cavaliere, che con una certa riluttanza le prese. –Legatelo stretto- Ordinò Hijdem –Questo pazzo bastardo sarebbe capace di buttarsi di sella e sparire nella foresta. Quanto a voi- Aggiunse rivolto al prete sigmarita. –Sgarri è ricercato per conto del Conte Elettore, spero non intendiate intromettervi- Orazio rimuginò per un istante, poi rispose –Non mi intrometterò, ma ho un pesante debito con questo spadaccino, per cui verrò con voi.- Orson assentì –Sta bene, ma non provate a liberarlo, o vi uccideremo.-
    Sgarri fu legato mani e piedi, quindi fu assicurato di traverso sulla sella di un cavaliere, mentre Orazio montava assieme ad un altro. L’unità di cavalleria si separò dagli alabardieri e partì subito per Middenheim.
    Sgarri imprecò quando il cavallo fu messo al trotto perché ogni scossone gli procurava dolore alle costole. –Sei un bel bastardo Orson- Ringhiò il tileano. –Catturare un amico che è condannato per omicidio, mi impiccheranno e la colpa sarà solo tua!- Il Cavaliere non si voltò neppure –Non dire fesserie Umberto, sei scappato dalle prigioni di Middenehim una volta, non credo avrai problemi a rifarlo, e lo sai bene che fosse per me ti lascerei andare ora. Ma la tua cattura l’ha ordinata il conte Fhurkrum, comandante della guardia cittadina di Middenehim, ed è stata avallata dal conte elettore, il fallimento non è contemplato. O la mia testa o la tua vecchio mio, solo che tu puoi cavartela, mentre io…-
    Era vero, Sgarri era già fuggito dalle carceri di Middenehim, ma questo non voleva dire che avrebbe saputo rifarlo. Lo spiraglio di speranza non lo sollevò minimamente. Aveva un senso di oppressione e vergogna che gli attanagliava lo stomaco.
    Furono due ore di freddo e scossoni per il tileano, ma poi il gruppo superò il lungo ponte ed entrò nella città del lupo bianco, illuminata dalle torce.
    Il drappello cavalcava lungo le strette vie lastricate e deserte.
    Sgarri, seppur dalla sua incomoda posizione, riconosceva le note strade della città in cui aveva vissuto. Il gruppo si fermò di fronte alla locanda dell’orso guercio. –Prete, siete arrivato- Commentò Hijdem. –Dove andiamo ora non potete venire- Orazio scese di sella senza protestare, ma promise a Sgarri di cercarlo la mattina seguente. Il tileano annuì poco convinto e la cavalcata riprese. Lo spadaccino conosceva ogni strada, a destra si prendeva per “Il lupo di Ulric”, la bettola che era la tana della sua amata compagnia. A sinistra per “La stella del Nord” il miglior bordello della città. Ora avrebbero svoltato a sinistra per le carceri. Invece i cavalieri continuarono dritti, verso la parte alta della città. Sgarri avrebbe dovuto essere incuriosito da questo cambiamento, ma la sua nera disperazione lo aveva reso acido e così commentò duramente.
    –Che c’è Orson, il freddo ti ha bruciato quel poco di cervello che avevi? Le carceri erano dall’altra parte idiota!- Il Precettore non raccolse la provocazione. –Non stiamo andando alle carceri, Fhurkrum vuole vederti, ho mandato uno dei miei ad avvisarlo della tua cattura e mi ha detto che il conte vuole vederti- Sgarri sbottò –Per un sergente ammazzato in duello tutto questo polverone… Se ammazzavo un capitano mi mandavate dall’imperatore?!- Ancora una volta Hijdem non raccolse la provocazione.
    Il drappello si arrestò davanti ad uno dei più grandi palazzi della città, il cui ingresso era guardato da due truci militari dai grandi martelli. Sgarri sospettava che si trattasse di due veterani della guardia teutogena.
    I Cavalieri smontarono nel piccolo cortile interno dell’edificio ed affidarono gli animali ad un gruppo di stallieri dall’aria assonnata.
    Un cavaliere gettò a terra Sgarri in malo modo, facendolo urtare violentemente il selciato. Il tileano imprecò, ma il cavaliere parve non accorgersene perché lo rialzò e, liberatigli i piedi, lo convinse a camminare con un pugno nelle costole. Il gruppo fu introdotto in una grande sala rivestita di arazzi ed illuminata da quattro grandi bracieri. Contro la parete di fondo era appoggiato una specie di palco con uno scranno finemente intagliato. Sul sedile vi era un uomo non più giovane, col ventre leggermente rigonfio e le membra flaccide di chi ha avuto un fisico prestante. Il suo volto era sfregiato da una cicatrice, che proseguiva lungo la barba grigia e curata. Il conte indossava vesti costose e portava al fianco un martello da guerra, ricordo di quando era stato capitano della guardia teutogena. Non appena videro Sgarri gli occhi azzurri ed acquosi del nobile si accesero di una scintilla d’interesse.
    L’uomo brizzolato si alzò dallo scranno –Liberate dalle corde il caporale Sgarri- Ordinò. Il tileano ebbe un sussulto sentendosi chiamare con un grado che non aveva più da anni. Caporale, l’alfiere dello stendardo dei Lupi di Ulric, uno dei gradi più ambiti della fanteria del Middenland. Il cavaliere che aveva colpito lo spadaccino estrasse un coltello e tagliò le funi. Non appena fu libero, Sgarri si voltò e, con una sorprendente velocità, sferrò una ginocchiata all’inguine del cavaliere. I compagni di questi si fecero avanti ed un gruppo di guardie teutogene apparve da dietro gli arazzi, ma il conte fermò tutti con un gesto della mano. Il nobile si avvicinò allo spadaccino. –Umberto Sgarri, disperavo di rivederti figliuolo- Disse con voce gentile. Sgarri era sinceramente colpito; l’ultima volta che aveva visto il capitano Fhulkrum della guardia teutogena, quest’ultimo lo aveva personalmente preso a calci e gettato in cella.
    -Signore?- Sgarri era ancor più stupito dal viso del conte, sembrava che avesse ritrovato un figlio perduto.
    Il conte lo guardò come un bambino stupido –Umberto, dannato idiota, i testimoni hanno confermato che il tuo è stato un duello leale, sei stato assolto, solo che tu, da perfetto idiota quale sei, eri scappato dalla prigione.-
    Il tileano era esterrefatto. Quattro anni a combattere lontano dai suoi fratelli, dai suoi adorati amici, ed era stato assolto. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma l’enormità della rivelazione che il conte gli aveva appena fatto lo zittì. Aveva vissuto una parte della sua vita a fuggire da fantasmi che non erano mai esistiti.
    Poi sorrise, si sarebbe riunito ai suoi, avrebbe ripreso le scorribande nella foresta e le sbronze al “Lupo”. Avrebbe avuto nuovamente il salario migliorato e si sarebbe preso due mesi di licenza per andare a casa a trovare i suoi. Era sorprendente quante cose si potessero pensare in un secondo.
    -Quindi- Disse –Sono libero, posso tornare alla compagnia e… Mantengo il grado?- Chiese speranzoso.
    Ma vide solo un viso funereo. –Non lo sai…- Disse il conte. Sgarri lo guardò interrogativo. Le parole che seguirono fecero cadere un’ombra sul viso di Sgarri, che improvvisamente parve più vecchio di cento anni.
    –I Lupi di Ulric sono stati massacrati dagli uominibestia, il loro stendardo perduto.-

    Sgarri guardò il conte, gli occhi appannati. –Come perso?- Fhurkrum scosse il capo –Lo hanno catturato gli uominibestia che hanno massacrato i Lupi-
    Il tileano crollò il capo. I suoi amici erano morti, lo stesso simbolo della compagnia che tanto amava era scomparso e lui era più solo di quanto non fosse mai stato nella sua vita.
    -Se io sono innocente e il reparto non esiste più- disse con voce esitante –Perché non avete ritirato il mio ordine di cattura?-
    Il conte lo guardò con aria seria, nei suoi occhi vi era la stessa forza di un tempo. –Avevo bisogno che ti trovassero ragazzo mio. Tu sei sempre stato il migliore dei Lupi, eri un ribelle e un indisciplinato, ma sei sempre stato il migliore della compagnia. Ho una missione per te-
    -Per me?- Chiese Sgarri. –Ma io non faccio più parte dei provinciali di Middenehim-
    Il conte sorrise –Ti sto ordinando una missione Sgarri perché sei un soldato, ma potrei accusarti di evasione e diserzione ed obbligarti ad eseguirla, è chiaro?-
    Sgarri annuì, aveva capito. –Comandi eccellenza!-
    -Caporale Umberto Sgarri, alfiere dei Lupi di Ulrich, in questa sede vieni promosso sergente dei provinciali di Middenehim. Ti fornirò una cospicua somma di denaro, la userai per arruolare ed equipaggiare una squadra.-
    -Una squadra per fare che signore?-
    Il conte abbassò la voce –lo stendardo dei Lupi di Ulrich era infuso di potenti incantesimi, è una reliquia di grande valore e non possiamo permetterci di perderla. Da quando i Lupi sono stati sconfitti, poco più di un anno fa, ho inviato sei spedizioni, con alcuni dei miei uomini migliori, ma per questo genere di missioni di solito usavo voi Lupi. Nessuno ha mai fatto ritorno-
    Il tileano annuì –Volete che recuperi quel vessillo- Concluse.
    Il conte assentì –Se riuscirai sarai ricompensato, se fallirai farai bene a morire nel tentativo-
    Sgarri fissò gli arazzi per un istante, pensando. –I miei fratelli…- disse in un soffio. –Non ci sono sopravvissuti?- Ovviamente la risposta era no, altrimenti lo stendardo non sarebbe caduto in mano al nemico. Eppure il conte esitava a rispondere.
    -In effetti c’è un sopravvissuto. Harry Borgan, ferito in combattimento se la squagliò, lasciando l’alfiere a morire. È stato cacciato dalle truppe provinciali, a quanto ne so ora lavora nella bettola dove vi riunivate-
    Lo spadaccino aggrottò la fronte, Harry Borgan era un veterano temprato nel fuoco di cento battaglie, un valoroso che aveva portato a Middenehim le teste di centinaia di nemici. Era incredibile che fosse fuggito.
    Fhurkrum schioccò le dita ed un attendente accorse recando uno scrigno di legno. Il conte lo aprì e ne trasse un sacchetto di tela. –Sono cinquecento corone, mi aspetto che tu assoldi la squadra tra i migliori mercenari della città, io ti metto a disposizione Fritz e Ghunter, due veterani della mia guardia teutogna. Sono dei combattenti straordinari e li ho già istruiti, seguiranno i tuoi ordini alla lettera-
    Il cervello di Sgarri cancellò il dolore, la stanchezza era scomparsa lasciando posto ad una strana frenesia. Era impaziente di mettersi in azione, come quando i Lupi venivano chiamati per una missione. Allora il tileano sarebbe stato seduto ad un tavolo del “Lupo”, a giocare a carte o a scacchi con Harry o Marcus, guardando il mondo da dietro un boccale di birra scura. Marta e Greta, le due cameriere, sarebbero state intente a servire, o a ballare su un tavolo. E in quella sarebbe entrato un messo che avrebbe chiamato la compagnia per una missione. Gli uomini si sarebbero alzati allegramente, ridendo e scherzando. Avrebbero raccolto i loro equipaggiamenti, perennemente appoggiati alle staffe del guardaroba all’ingresso. Con gli scudi in spalla e le spade al fianco avrebbero fatto un’adunata nel piazzale davanti la locanda e avrebbero ascoltato gli ordini. Poi sarebbero partiti.
    Ora era solo. Si ricordò della domanda che facevano sempre i Lupi. –Quanto tempo ho?-
    -Tra due giorni mi aspetto di vedervi lasciare la città-
    Era un ordine. Sgarri prese il denaro e salutò militarmente il conte, quindi si voltò di scatto. –Le mie armi- Disse rivolto al cavaliere che reggeva i suoi bagagli. Questi si voltò verso il precettore, che assentì. Il tileano si assicurò la cintura delle armi alla vita e si gettò in spalla lo zaino in cui teneva i suoi pochi averi e che il cavaliere gli porgeva. Terminate queste operazioni lo spadaccino sospirò e si diresse con aria risoluta verso la porta. –Sgarri!- Lo chiamò il conte. –Mio signore?- -Il mio cuore è con te ragazzo-
    Il tileano annuì ed uscì nella notte. Immediatamente due uomini lo affiancarono. Avevano barbe lunghe ma curate, martelli da guerra sospesi alle cinture e zaini in spalla. Si presentarono come Fritz e Ghunter. Sgarri li soppesò rapidamente con lo sguardo, mentre traversavano a piedi il cortile. Vide due veterani nel fiore degli anni, con braccia forti e visi esperti. Uomini a loro agio su una linea di battaglia, ma anche nei boschi. Annuì tra se. Fritz, il più giovane dei due, gli si rivolse con una voce roca che tradiva il vizio del fumo. –Da dove cominciamo Sergente?- Il tileano rispose con un filo di voce, quasi parlando tra se mentre scendevano verso la città bassa. –Iniziamo da dove io ho finito, dal “Lupo”-
    Ormai era quasi mezzanotte, ma il “Lupo” era ancora aperto. Nel retrobottega vi era un piccolo bordello, per quanto le ragazze ricevessero anche nelle stanze che la bettola affittava per la notte. Sgarri esitò un attimo carezzando la porta in legno massiccio. Poi spinse la maniglia a forma di testa di lupo. Il locale era molto accogliente, i tavoli erano disposti a semicerchio attorno al grande camino di pietra, mentre in fondo alla stanza vi era il bancone dietro al quale erano allineate le botti. Una scala a chiocciola al lato sinistro del bancone portava al piano superiore, mentre una porticina dal lato destro introduceva al bordello. Un grosso lampadario in ferro battuto rischiarava l’ambiente, interamente in legno. Se l’atmosfera del locale era famigliare, a guardare i muri c’era invece da inquietarsi. Erano talmente pieni di cianfrusaglie marchiate dagli oscuri simboli del caos che la locanda avrebbe potuto benissimo essere la sede di una setta. In realtà si trattava dei trofei che i Lupi di Ulric portavano alla loro tana dopo le scorribande nella foresta. Vi erano perfino un paio di stendardi degli orchi appesi al camino, attorno alla testa imbalsamata del centigor ucciso da Sgarri durante la sua prova finale, che faceva bella mostra di se sulla cappa di pietra. Sgarri chiuse gli occhi ed inspirò quell’aria fumosa a pieni polmoni. Aveva abitato in una stanzetta del “Lupo” per cinque anni, i più belli della sua vita. Fece un passo in avanti, scendendo d’un sol balzo i tre gradini che lo separavano dalla sala, come un tempo. Passò accanto al guardaroba, dalle cui staffe pendevano tristemente cappotti e mantelli, là dove un tempo erano appesi scudi, coperte, cotte di maglia e spade.
    Vista l’ora gli avventori erano davvero pochi, giusto un paio di ceffi patibolari che giocavano ai dadi con un nano sventratore completamente tatuato con motivi blu a spirale. Marta stava spazzando in terra, mentre Hanna, la rubiconda e prosperosa madre di Marta e Greta, passava uno strofinaccio sul legno del bancone. Fu proprio lei ad alzare lo sguardo sui nuovi venuti. Guardò per un istante i due veterani, ma il suo sguardo si bloccò sul tileano. La donna agrottò la fronte, sotto i riccioli biondi ormai striati di bianco, poi esplose in un’imprecazione. –Umberto!- Urlò aggirando il bancone. –Umberto Sgarri! Che Khorne mi maledica, Umberto Sgarri!- La donna si gettò tra le braccia dello spadaccino, che la strinse a se con tutta la sua forza, affondando il viso nei riccioli di quella donna che per il diciottenne Umberto Garri, soldato in terra straniera, era stata quasi una seconda mamma. Per la prima volta da anni una lacrima rotolò lungo la guancia barbuta dello spadaccino. –Hanna, non sei invecchiata di un giorno!- Mentì il tileano. Erano state Hanna e le sue figlie, di poco più giovani di lui, ad insegnargli il comune; quando era arrivato a Middenehim conosceva il tileano, il bretonniano e la scherma. Greta era stata la sua prima amante, Marta la sua prima innamorata. Per Marta aveva scatenato la sua prima rissa. E Hanna era stata la prima persona a recuperarlo dal carcere dopo una notte in guardina. Sempre lei gli aveva cucito i calzoni che ancora portava.
    -Sei ancora un pessimo bugiardo- Commentò l’ostessa piangendo. Marta abbandonò la ramazza e si unì all’abbraccio. Quando infine si separarono Hanna balzò dietro il bancone e riempì un boccale di scura, sbattendolo sul banco. –Il primo lo offre la casa, ma il secondo lo paghi tu soldatino!- Sgarri ingollò una bella sorsata di birra, quindi posò una corona sul banco, immediatamente seguita da due boccali per i teutogeni, che si tenevano in disparte da quella rimpatriata. Forse per rispetto del grado appena acquistato da Sgarri, o forse del teschio d’argento che gli avevano intravisto al collo. Marta passò un braccio attorno alle spalle del militare, mentre lui le cingeva i fianchi. Ma il tileano ritrasse la mano –non ti sarai mica sposata vero?! Non è che mi tocca combattere un duello per averti abbaracciata…- Disse scherzando. La giovane scoppiò a ridere, tradendo lo spirito gioviale proprio di tutta la famiglia. –No, ancora niente, mi tocca aspettare quello giusto- Rispose con aria allusiva. Sgarri alzò le mani come a proteggersi da un colpo. –Non ci pensare neanche, sono così povero che non potrei pagarmi neanche il prete!- I tre scoppiarono a ridere assieme. Quella di accasare una delle donne della locanda era una battuta tanto vecchia che ormai era un intercalare nei loro discorsi. Il tileano aveva l’impressione di essere tornato d’un balzo a quattro anni prima, ma non era così, perché altrimenti non sarebbe stato il solo bersaglio dell’ironia di Marta ed Hanna. –Greta dov’è?- Domandò il tileano. Hanna sorrise –Lei non è un caso perso come Marta, si è trovata un bravo giovanotto, un bottaio, che se l’è sposata e l’ha portata a vivere con lui. Ha un’azienda a Talabehim.- -E la mamma è contenta perché Peter le ripara le botti gratis!- Rettificò Marta. Umberto scoppiò a ridere –Non ci posso credere, Greta si è sposata Peter il bottaio?! Peter quello basso e brutto?- -è un ragazzo d’oro!- Replicò Hanna. –Greta si è sposata un tuo fornitore?!- Rincarò Sgarri con le lacrime agli occhi dalle risate. –Sempre meglio che un soldato!- Replicò l’ostessa. Cadde il silenzio. Era una battuta vecchia, la facevano sempre ai Lupi. Ma ora i Lupi non c’erano più e la loro mancanza si sentiva molto nella locanda. –Hai saputo della compagnia vero?- Domandò Hanna, la voce rotta dal dolore. Il tileano annuì tristemente.
    In quella, dal retrobottega, arrivò un uomo sulla trentina che reggeva un barilotto. Sgarri lo riconobbe all’istante. Aveva una cicatrice in più che gli traversava il viso ed un’espressione triste e rassegnata, ma era evidentemente Harry Borgan. –Harry!- Lo chiamò il commilitone. Harry lasciò cadere il barilotto, quasi avesse visto un fantasma. –Umberto Sgarri!- Disse esterrefatto.
    Il tileano lo abbracciò. –Cosa fai qui?- Chiese il Lupo. Sgarri gli fece cenno di sedersi ad un tavolo, al quale i due teutogeni già attendevano. –Il conte mi manda nella foresta, a recuperare il vecchio straccio- Così i Lupi erano soliti riferirsi al loro amato stendardo. Harry si mosse sulla panca di legno, evidentemente a disagio. –Umberto, io…- Sgarri alzò una mano.
    -Amico, lo so che non sei stato un codardo, ti conosco da troppo tempo, scommetto che sei stato tra i più coraggiosi-
    -Perderesti- La voce di Borgan era piena di vergogna. –La verità è che sono rimasto ferito. Ho visto i ragazzi morire uno dopo l’altro, ormai era persa. E non ho avuto il fegato di alzarmi a morire come gli altri. Mi sono trascinato sotto un cespuglio e ho aspettato che finisse. Ho avuto paura capisci?-
    Sgarri era esterrefatto. Harry gli aveva salvato la vita una decina di volte, lo ricordava mentre si gettava a capo chino nelle mischie più brutali, cercando i nemici più forti. Eppure quella volta aveva avuto paura. Sgarri gli poggiò una mano sulla spalla. –Smetti di colpevolizzarti, a tutti può succedere.- Harry non sembrava convinto, ma annuì piano. –Verrò con te-
    Il tileano annuì. Non poteva chiedere di meglio. –Credo sia ora di andare a letto, che dite?- I due teutogeni si alzarono all’unisono e Sgarri si rivolse all’ostessa. –Hanna, hai una stanza per i signori?- -Ovviamente, ma la pagano, non è che dormono gratis perché sono amici tuoi… Volete anche una ragazza?- Domandò la donna. I due declinarono gentilmente l’offerta e si diressero verso la scala a chiocciola, diretti alla prima stanza a destra, quella indicata da Hanna. –Hanna- Continuò Sgarri. –Non è che per caso la mia stanza è ancora libera?- La donna sbottò. –Ma certo che è ancora libera brutto idiota, lo sapevo che prima o poi saresti tornato da noi! Tu lontano da birra e tette non vivi!- Sgarri scoppiò a ridere e replicò.
    -Guarda che tette e birra le trovi dal Nordland a Sartosa!- E si avviò su per la scala. Hanna gli lanciò dietro un boccale vuoto. –Non birra fresca come la nostra e non tette che ti vogliono così bene bifolco che non sei altro!-
    -Non ti agitare, fa male alla tua età!- Replicò la voce di Sgarri dal piano di sopra. –E tu fai attenzione quando esci dalla soffitta, potrei scambiare la tua facciaccia per il muso di un ratto e darti una bastonata!- -Buona notte Hanna- -Buona notte Berto!-
    La stanza di Sgarri si trovava nella soffitta, in realtà era poco più di uno sgabuzzino, ma era confortevole. Il tileano aprì la porticina ed accese la lanterna appesa al soffitto con la candela che reggeva in mano. Quello che Hanna non gli aveva detto era che aveva lasciato la stanza esattamente com’era. Un piccolo ma morbido letto occupava metà dello spazio, mentre una piccola cassettiera ed un baule completavano l’arredamento. In un angolo vi era un catino, mentre al muro di fronte al letto era appeso uno specchio. Ad un chiodo sopra il letto erano sospesi la cotta di maglia di Sgarri ed il suo scudo. Lo spadaccino sfiorò la tela grigio azzurra che lo rivestiva, contemplando l’immagine bianca del lupo ululante. Sotto il lupo vi era un cartiglio che recitava “Lupi di Ulric”. Il tileano poggiò a terra il bagalio e si tolse la cintura delle armi e la poggiò al pomo del letto, come faceva sempre. Alzò il cuscino, sotto vi era ancora il suo coltellaccio. La cosa sorprendente era la pulizia della stanza, Hanna doveva averla mantenuta in ordine, ben più di quanto non lo fosse quando era stata abitata. Sgarri prese dell’acqua da una botte e si lavò, quindi aprì la cassettiera. Assieme alla sua divisa da spadaccino vi erano alcune camice, due paia di calzoni e, sorpresa stupefacente, un paio di splendidi stivali a sbuffo che aveva sfilato anni prima ad un diestro estaliano che lo aveva sfidato giù alla locanda. Sgarri indossò una maglia di lana ed un paio di braghe, quindi si distese tra le calde coperte. Si accingeva a spegnere la luce quando sentì un leggero colpo alla porta. La mano del tileano corse al coltellaccio mentre la porta si socchiudeva. Apparve il viso di Marta, che si scostò una ciocca di capelli biondi da davanti ai suoi occhi azzurri. Gli sorrise e si chiuse la porta alle spalle. Sgarri ripose l’arma, mentre la cameriera spegneva con un soffio la lanterna e, sfilatasi la tunica, entrava tra le coperte. Il tileano assaporò la carezza del corpo di lei che sfiorava il suo, e poi le sue labbra famigliari. Era bello essere di nuovo a casa, anche se per poche ore.


    Il tileano si destò intorpidito e pago nel caldo giaciglio. Marta, che lo aveva condiviso con lui per gran parte della notte, non c’era più. Sgarri sbadigliò sonoramente e scostò le coperte rabbrividendo per il freddo. Dopo essersi stropicciato gli occhi, con un enorme sforzo, si alzò dal letto e si spruzzò il viso con l’acqua gelida del catino. Sospirò e si affacciò alla piccola finestrella tonda vicina all’entrata che dava sul retro del “Lupo”. Si trattava di un fetido vicolo fangoso, un angolo del quale era stato adibito a pollaio.
    Lo spadaccino ricordava i molti duelli sostenuti in quella striscia di terra che non permette la fuga e sorrise quando gli tornò alla mente Raimund Steiner che sei anni prima, sfidato in una gara di lotta da un pugile tileano, scagliava l’avversario sanguinante in quello stesso vicolo. Era stato li che aveva vinto gli stivali del diestro estaliano. Non era stato facile, l’altro era davvero bravo, ma lui lo aveva ferito al polso e, approfittando dell’attimo di distrazione dell’avversario, era scattato in un affondo a dir poco spettacolare che aveva colto il cuore. Probabilmente lo stesso diestro, se fosse sopravvissuto, lo avrebbe applaudito per una mossa così audace.
    Sgarri scrollò la testa come un cane bagnato, quasi a voler scacciare il sonno ed aprì la cassettiera. Indossò una camicia bianca ed un paio di brache nere, quindi calzò gli stivali nuovi che, sorpresa stupefacente, gli calzavano a pennello. Sorrise di quella piccola vittoria e vestì la casacca dei Lupi di Ulrich. Non era necessario indossare armature, del resto non intendeva partire, almeno non prima di aver passato un’altra notte con Marta. Il tileano provò una fitta di malinconia mentre vestiva il giubbotto dei Lupi.
    Si trattava di un magnifico giubbotto di pelle foderato all’interno con lana estaliana e, ricamati in bianco in corrispondenza del cuore, il lupo ullulante ed il cartiglio con la dicitura “Lupi di Ulrich”. Gli spadaccini avevano fatto una colletta e si erano fatti cucire quei giubbotti apposta per l’inverno. Quando avevano iniziato a sfoggiarlo erano divenuti l’invidia di mezzo esercito. Sgarri lasciò aperto il collo alto dell’indumento per potersi radere, cosa che fece con cura.
    Quando ebbe terminato l’operazione il tileano si passò una mano tra i capelli rossi e pensò che avrebbe dovuto accorciarli, ma al momento non ne aveva voglia. Si calzò invece in testa il basco da spadaccino azzurro e grigio. Lo indossò esageratamente storto verso destra e nettamente troppo basso, quasi a coprire l’occhio destro, alla moda dei veterani. Si allacciò in vita la cintura delle armi e, preso il denaro, uscì senza preoccuparsi di chiudere, del resto la sua stanza non era mai stata chiusa.
    Il tileano non lo sapeva, ma si era svegliato a giorno inoltrato e la taverna era piena di attività. Anche troppo.
    Mentre scendeva le scale Sgarri notò alcuni soldati provinciali della guardia cittadina che gozzovigliavano allegramente ed allungavano le mani sul tergo di Marta, ridendo della sua stizza. Lo spadaccino sentì montare la rabbia. La guardia cittadina aveva sempre visto di cattivo occhio i Lupi di Ulrich, così pieni di onore e con il salario aumentato, ma buoni solo a creare disordini e risse. Evidentemente, dopo la scomparsa dei Lupi, la guardia si era impadronita della tana degli avversari. Sgarri tornò nella sua stanza e recuperò il nastro di stoffa azzurra munito di bottoni che recava l’araldica da sergente e che lui aveva ricevuto in dono dal primo sergente dei Lupi quando questi aveva lasciato l’unità per dedicarsi all’artigianato. Con gesto risoluto il tileano si assicurò la fascia al braccio sinistro e si aprì ulteriormente il giubbotto, in modo da mostrare spavaldamente il teschio d’argento che gli pendeva dal collo assieme al monile elfico.
    Sgarri scese le scale con passi pesanti e misurati. Probabilmente in un altro momento i soldati lo avrebbero notato subito visto che era uno dei pochissimi uomini nel Middenland a non portare la barba, ma al momento stavano allegramente giocando a spintonare Marta in modo che urtasse un altro soldato che approfittava della cosa per palpeggiarla prima di lanciarla ad un collega. Sgarri si avvicinò disinvoltamente e, con fare indifferente, urtò la spalla di uno dei soldati. Gli altri non potevano vederlo, ma mentre toccava con la spalla quella della guardia, il tileano gli sferrava un violento colpo a mano aperta sull’inguine. Il soldato boccheggiò e si accasciò sul tavolo più vicino.
    -Ops, mi perdoni, che maldestro che sono!- Disse con tono palesemente sarcastico.
    I soldati interruppero istantaneamente il gioco e si fecero incontro allo spadaccino. Uno lo sfidò con lo sguardo e lo schernì –Penso che ci divertiremo con questo damerino eh ragazzi?!-
    Sgarri si voltò lentamente di tre quarti, in modo da mostrare il petto al gruppetto di aggressori e i soldati notarono contemporaneamente tre cose che li congelarono sul posto come statue di sale. Lo stemma dei Lupi, il teschio d’argento e l’araldica di sottufficiale bloccarono i militari a bocca aperta per una frazione di secondo, poi uno mormorò poche parole, rompendo l’incantesimo.
    -Demoni della desolazione, ma quello è un teschio d’argento…-
    Sgarri parlò lentamente.
    -Andatevene. Questa locanda è dei Lupi di Ulrich, voi non siete i benvenuti. Pagate e poi sparite-
    I soldati ebbero alcuni istanti di esitazione, poi quello che aveva parlato portò la mano al borsello e lasciò cadere alcune monete sul tavolo. Sgarri lo fissò negli occhi.
    -La mancia.-
    Senza parlare il militare posò altre due monete sul banco, quindi si voltò e fece per allontanarsi, ma un collega lo trattenne.
    -Dico Hogan, non vorrai farti mettere i piedi in testa da questo damerino!-
    L’uomo che aveva pagato scosse la testa –Olaf, secondo me è meglio se andiamo-
    -Ascolta il tuo amico Olaf- Disse minacciosamente Sgarri.
    Olaf guardò il tileano con aria bellicosa, ma infine si voltò e se ne andò seguito dai compagni.
    Non appena il gruppetto si richiuse la porta alle spalle Sgarri sorrise a Marta, la quale scosse la testa. –Sei sempre il solito-
    Il tileano stava per rispondere quando una risata cavernosa scosse le mura del locale. Il sergente si voltò di scatto. Al tavolo più vicino al bancone erano seduti i due teutogeni in compagnia del nano sventratore della sera prima, il quale sembrava sul punto di cadere dalla sedia. Il nano parve riprendere il controllo, ma poi sbatté con forza un’ascia sul tavolo e si accovacciò scoppiando in un nuovo scroscio di risa.
    Sgarri rivolse uno sguardo interrogativo ai due soldati, che allargarono le braccia, mentre il loro commensale rovesciava indietro la testa barbuta. Lo sventratore ingollò una generosa sorsata di birra, ma non riuscì a trattenerla e la sputò sul tavolo in una nuova risata. Infine il nano alzò i suoi occhi azzurri e li fissò in quelli scuri di Sgarri.
    –Certo che sei proprio uno spasso spadaccino! Vieni qua che ti offro una birra!-
    Il tileano annuì e prese posto accanto Fritz, mentre Marta gli posava davanti un boccale di birra. Sgarri la fermò gentilmente e le chiese gallette e pancetta per fare colazione, quindi lo sguardo gli cadde sul nano. I tatuaggi che la sera prima gli erano sembrati dei motivi a spirale, erano in realtà rappresentazioni di troll, giganti, draghi ed altri mostri grotteschi ed erano spesso interrotti da orrende cicatrici. La cresta tipica degli sventratori era più corta rispetto a quella di altre che Sgarri aveva avuto modo di vedere, ma la barba era più lunga di quella di qualunque altro nano il tileano avesse mai visto.
    Il nano porse la mano allo spadaccino, che se la sentì stritolare nella morsa dello sventratore. –Il mio nome è Igor Serpentenell’occhio, più noto come Igor Malasorte-
    -Perché Malasorte?- Domandò il tileano.
    Igor parve rabbuiarsi di colpo e parlò con una voce che malcelava la vergogna. –Ho pronunciato il voto dello sventratore oltre trecento anni fa, ho ucciso ogni genere di mostruosità, i nemici più forti me li sono tatuati. Ho passato centocinquant’anni nella desolazione, ho combattuto centinaia di nemici, eppure ancora non sono riuscito a trovare la morte. Alla fine mi sono stancato e mi sono detto che avevo le stesse probabilità di morire nella desolazione come nell’Impero, ma visto che nella desolazione non c’è birra ho deciso di venire qui. Voi uomini combattete molte guerre, prego ogni giorno Grugni perché una di queste possa essere la mia ultima.-
    Sgarri tacque di fronte al dolore del nano. I commensali attesero che il sergente terminasse la colazione, poi fu Sgarri il primo a parlare. –Igor, se vuoi morire ti offro una buona occasione.-
    Il nano si riscosse e guardò il tileano con rinnovato interesse. –Io e questi bravi ragazzi stiamo radunando una squadra per recuperare una cosa che gli uominibestia ci hanno rubato-
    -Fammi capire bene spadaccino…- Rispose lo sventratore. –Tu pensi di addentrarti nella foresta, prendere a calci tutti i caotici che incontri, trovare il luogo sacro in cui hanno portato quella cosa, recuperarla, prendere a calci tutti i caotici che incontri e tornare qui tutto intero?-
    Sgarri annuì –Grossomodo il piano è questo-
    Il nano si alzò di scatto recuperando l’ascia dal tavolo –Per Grugni, non sia mai detto che il vecchio Igor si è tirato indietro, lo dicevo io che con uno come te c’è da divertirsi!-
    -C’è una condizione se vuoi venire- Specificò il tileano.
    Il nano lo guardò interrogativo.
    -Tu desideri la morte, noi no. Se vuoi accompagnarci voglio la tua parola che seguirai i miei ordini e ti ritirerai se necessario-
    Igor osservò stranito Sgarri, quindi scoppiò in una sonora risata –Per Grugni ragazzo, tu vai nella foresta e non vuoi morire? Sei proprio matto spadaccino, proprio matto! Mi piaci per Grugni, mi piaci proprio, hai la mia parola!-
     
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    Oh che bene! Finalmente un nuovo episodio. Bello me lo sono bevuto tutto di corsa e come al solito ne è valsa la pena. Attendo un nuovo episodio!
     
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    Ladruncolo di strada

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    Ti ringrazio Solar! soprattutto per seguirmi ancora!

    Nano ed uomo si strinsero nuovamente la mano, suggellando il loro patto, quindi Sgarri si alzò. –Hanna!- Chiamò. La rubiconda locandiera apparve dal retrobottega. –Dimmi tesoro!- -Ho bisogno di mercenari, gente in gamba…- Hanna meditò alcuni istanti; il “Lupo” era stato un tempo anche crocevia di avventurieri, ma l’arrivo della compagnia di spadaccini li aveva resi sempre più rari. –Prova al “Pentolone d’oro”, due isolati dopo la “Stella del Nord”, una cameriera è mia amica e l’altro giorno al mercato parlava di un gruppo di tileani in cerca d’ingaggio- Sgarri sorrise e schioccò un bacio sulla guancia della donna –Sei impagabile Hanna!-
    Igor ordinò un’altra pinta di birra, mentre Fritz e Gunter seguivano il sergente fuori dalla locanda. Era una mattinata fredda e dal cielo basso che minacciava altra neve. I tre si muovevano veloci tra i pochi passanti nei vicoli della città. Una pattuglia della guardia cittadina s’irrigidì nel saluto militare mentre Sgarri la superava. Il tileano rispose al saluto con non poco impaccio ed affrettò il passo.
    Stava superando la facciata in legno della “Stella del Nord” quando una delle finestre esplose in un vortice di schegge di vetro, mentre un corpo inanimato, dopo averla attraversata, rotolava in strada. Il tileano si bloccò per non calpestare lo sventurato e si voltò verso il bordello. Attraverso l’infisso divelto vide uno degli addetti alla sicurezza del bordello, un energumeno tatuato, brandire un randello contro un avventore dal cranio rasato. Un attimo dopo l’energumeno volò oltre la finestra e rotolò addosso al collega che lo aveva preceduto. Sgarri imprecò schivando anche il secondo defenestrato.
    –Orazio!- Urlò. –Orazio Swartz!- L’avventore, che teneva un terzo avversario sollevato sopra la testa, si voltò di scatto. –Sgarri!- Ringhiò il prete. Orazio lasciò cadere in malo modo l’uomo che stava picchiando ed uscì dal locale, mentre una pattuglia di guardia cittadina si dirigeva verso la Stella a passo spedito. Il tileano fissò il sigmarita negli occhi gelidi. –Ma si può sapere che stai facendo?!- Domandò. Il prete allargò le braccia. –Ti stavo cercando, tutto bene?- Sgarri scosse la testa. –E mi cercavi spaccando teste?- Orazio assunse un’incongrua aria innocente. –Beh, non è mica colpa mia se qui basta fare due domande e tutti ti danno del “baciamartelli”, “lodaimperatori”, “eretico” e solo Sigmar sa cos’altro! Io sono una persona pacifica e tollerante verso tutte le religioni, sono questi eretici bastardi senza dio che mi hanno provocato!-
    L’espressione del prete era così comica che per poco il tileano non scoppiò a ridere, ma i passi dei soldati lo riportarono alla realtà. –Tutto molto interessante Orazio, ma direi che è meglio parlarne in altra sede- Così dicendo Sgarri guidò il gruppetto attraverso un dedalo di vicoli fino alla taverna indicata da Hanna e si fermò solo dopo essersi chiuso la pesante porta alle spalle.
    Il locale era seminterrato ed una rampa di scale scendeva dalla porta, a livello della strada, ed introduceva alla sala. I tavoli erano molto distanziati l’uno dall’altro, l’ideale per discutere di affari ed alcuni erano ospitati in nicchie a volta ricavate nelle pareti. A giudicare dalla forma arcuata del soffitto, la Pentola d’oro doveva essere stata un magazzino. Il locale era piuttosto affollato, ma nessuno si curò dei nuovi venuti, era evidente che si trattava di un luogo dove gli avventori erano avvezzi ad occuparsi esclusivamente dei propri affari. I quattro si sedettero ad un tavolo appartato.
    –Vedi- Riprese il prete guerriero. –avevo promesso di cercarti, così sono andato alle carceri a chiedere di te. Subito le guardie sono state parecchio scortesi, ma dopo una piccola discussione religiosa si sono rivelati dei bravi ragazzi, Sigmar ha toccato i loro cuori eretici e mi hanno detto che non c’eri.- Il tileano sogghignò, non era certo difficile immaginare la dinamica della discussione, se Sigmar aveva toccato il cuore di quegli uomini certo le nocche del prete avevano toccato le loro ossa. –Allora mi hanno detto che magari eri scappato e che un fuggitivo si sarebbe sicuramente nascosto alla “Stella”, così sono andato lì a fare domande su un fuggitivo, ma quelli hanno cominciato ad offendere e mi volevano anche pestare… Che volgarità!-
    Il tileano scoppiò a ridere. –non credevo l’avrei mai detto di un prete, ma tu sei veramente forte Orazio!- Swartz si accigliò, indeciso se accettare il commento come un complimento o considerarlo un insulto. Alla fine decise di ignorarlo del tutto e cambiò argomento.
    –Chi sono questi tuoi compari eretici?- Domandò. Fritz rivolse al sigmarita uno sguardo a dir poco ostile, ma Gunter gli poggiò una mano sul braccio, calmandolo. Sgarri non si avvide neppure del cipiglio dell’uomo e rispose con la solita calma. –Il Conte mi cercava per affidarmi una missione, loro sono i miei uomini.- Spiegò vagamente. Orazio annuì lentamente. –Bene!- Esordì. –Quando si parte?-
    Il tileano scosse la testa. –Non posso chiederti di venire, è una missione estremamente rischiosa- Il prete si strinse nelle possenti spalle. –Impegni nel prossimo futuro non ne ho, famiglia neanche, di far carriera non m’interessa… Aggiungici che ti devo un favore e sono perfetto per la missione, qualunque cosa sia- Sgarri annuì lentamente. Certo l’ultima cosa che si aspettava quella mattina, appena sveglio, era di arruolare un prete sigmarita per quella folle missione nella foresta, ma il martello di Orazio Swartz avrebbe fatto parecchio comodo nel caso piuttosto probabile di uno scontro.
    Fritz attirò l’attenzione dello spadaccino e gli indicò col pollice un tavolo un poco discosto, al quale erano seduti sei individui. Sgarri tese le orecchie per alcuni minuti e strizzò l’occhio al veterano; gli uomini parlavano tileano.
    Sgarri si alzò e fermò la cameriera, alla quale ordinò un giro di birra per gli avventurieri. Arrivò al tavolo assieme alle bevande, accolto freddamente da un individuo dal volto sfregiato che portava uno spadone a tracolla. –Chi sei?- Domandò l’uomo. –Sergente Umberto Sgarri, dei provinciali di Middenehim- Disse Umberto tendendo la mano. L’altro la strinse con poco entusiasmo. –Furio Marchesi, di Verezzo. E questi sono Filippo Arnesi lo spadaccino, Ernesto Occhini il balestriere, detto “Ernesto Occhifini”, Orlando “il lungo” col suo martello infallibile, Domenico Guarini con la sua ascia e quello là brutto con due spade appese alla schiena è Federico Zampilli, detto “il pazzo”-
    Il sergente soppesò con lo sguardo gli uomini, che gli rimandavano uno sguardo gelido. –Mi sembrate uomini di valore- Concluse. –Mi servono uomini per una missione nella foresta, devo recuperare un cimelio in possesso degli uominibestia, trecento corone per tutto il gruppo, non trattabili.- Aveva parlato chiaro ma svelto, non doveva lasciare il tempo di mercanteggiare, perché neanche un tileano l’avrebbe vinta contrattando con un mercenario tileano. Furio parve meditare per alcuni istanti, quindi annuì. –Per me sta bene- Concluse. –Lo stesso- Disse prontamente lo spadaccino presentato come Arnesi. Guarini soppesò l’ascia per alcuni secondi, quindi ne saggiò il filo e si disse d’accordo. Ernesto Occhini suonò la corda della balestra come avrebbe fatto con un’arpa, quindi annuì –Mi sembra adeguato, ci sto- L’uomo che era stato presentato come il “lungo”, invece scosse la testa –Per me trecento sono poche, dico tre e cinquanta- Sgarri scosse immediatamente la testa. –Ho detto trecento- Ringhiò. –Non una sola di più- Il lungo scosse nuovamente la testa e si rivolse all’ultimo mercenario. –Tu che dici “pazzo”?-
    Il “pazzo” si strinse nelle spalle. –Io ci sto- Disse semplicemente. Alla fine anche il lungo si disse d’accordo, ma solo dopo aver tentato altre due volte di alzare il compenso e dopo aver ottenuto di ricevere metà del premio come acconto. Sgarri presentò i tileani ai suoi amici, quindi il manipolo si diresse verso il “Lupo”, dove gli uomini contavano di bere abbondantemente a spese di Sgarri.

    Il “Lupo” era pieno di allegria, in gran parte dovuta all’acquavite abbondantemente offerta da Sgarri. I tileani si erano rivelati una compagnia piacevole per il sergente, che non aveva occasione di parlare tileano da quasi due anni.
    I mercenari bevevano e si giocavano ai dadi l’acconto appena ricevuto dalle mani di Umberto.
    Hanna posò una mano sulla spalla di Sgarri che stava chiacchierando fitto con Domenico Guarini, il quale era originario del principato di Tobaro come lui. Il sergente si voltò con sguardo interrogativo.
    Sorridendo la locandiera gli mise in mano alcuni fogli lisi ed ingialliti. –Sono di tua sorella, non sapevo come fare per portartele… L’ultima è arrivata il mese scorso.-
    Una delle stranezze della famiglia Garri era mamma Giulia. La brava donna, figlia di un commerciante di tessuti, aveva preteso che i figli Umberto ed Annalisa si esercitassero nella scrittura con assiduità ed impegno. Il risultato era una fitta corrispondenza, per quanto concesso dal servizio postale imperiale, tra Umberto e la sorella, che lo teneva informato sulla situazione di casa.
    Fino a due anni prima Sgarri era abituato a ricevere al fronte queste lettere scritte con l’elegante grafia di Annalisa ed a rispondere al lume di una candela nella sua tenda, o seduto sul letto nella sua stanzetta del Lupo. Ma ora trovarsi tra le mani quei fogli invecchiati, cronache di due anni, lo emozionava tanto che il tileano ringraziò con un cenno del capo e si diresse a passo svelto verso la sua stanzetta.
    Con le lacrime agli occhi, seduto sul letto, Sgarri iniziò a leggere. Si trattava per lo più di fatti di poco conto, figli del modesto ma tranquillo lavoro di taglialegna del padre. Annalisa gli raccontava di essere molto impegnata nell’aiutare la madre nel lavoro di filanda per conto del nonno materno. Raccontava anche di aver preso a viaggiare attraverso il piccolo passo di Mirmydia, fino ad Annevie per vendere i ricami più pregiati.
    Di questa cosa lo spadaccino non era troppo contento visto che la strada, dalla parte bretonniana era molto soggetta alle imboscate delle bande di orchi che ormai da anni vagavano impuniti per il contado di Annevie. Ma se il vecchio ‘Renzo Garri aveva dato il suo consenso di padre allora era evidente che Annalisa non correva pericoli. Per un istante il tileano ripensò al giovane conte conosciuto alcune settimane prima nella foresta. Possibile che fosse riuscito nell’impresa di rendere sicura la strada?.
    Infine Umberto si decise a leggere la più recente delle lettere, che recitava così.
    “Mio adorato fratello,
    Ogni giorno la mia apprensione per la tua sorte cresce, ti prego, se ne hai la possibilità rispondi alle mie missive, anche solo per rassicurarci sul tuo stato di salute, sono più di due anni che non riceviamo tue notizie.
    Comunque sia, eccezione fatta per la pena che ci reca la tua assenza, in famiglia stiamo tutti bene. Papà Renzo ha assunto un apprendista, un bravo ragazzo di nome Carlo, per aiutarlo nel taglio di un nuovo tratto di bosco che il sindaco gli ha concesso.
    Mamma Giulia ha preso a lavorare con maggior vigore alla filanda che zio Giuseppe ha ereditato dopo la morte del nonno, di cui ti ho dato notizia in una mia dello scorso anno.
    Quanto a me, ebbene, è questa la vera notizia caro fratello, come ben sai sono ormai da qualche anno in età da marito, e così finalmente ho accettato la corte di un uomo magnifico. Il matrimonio è fissato per il sedicesimo giorno dell’Ulric Tide al tempio del paesino di Petit Gilles, vicino Annevie.
    Spero con tutto il mio cuore che tu possa presenziare, Andrea è un uomo d’armi come te, sono certa che v’intenderete. Spero sempre di vederti apparire sul sentiero che conduce a casa ed ogni giorno prego perché gli dei ti riconducano a noi.
    La tua devota sorella
    Annalisa”

    Il tileano era senza parole. L’Ulric Tide era finito da due settimane, forse se non si fosse attardato al campo delle Asce Nere avrebbe potuto giungere ad Annevie in tempo per assistere alla cerimonia.
    Era tutt’altro che contento di questo Andrea, si aspettava che sua sorella avrebbe scelto un artigiano, magari addirittura un contabile, al peggio un soldato della milizia; l’esercito professionista del contado di Callan, ma certo non un mercenario. Temeva che Annalisa potesse rimanere presto vedova, un dolore che lui avrebbe voluto le fosse risparmiato.
    Ma a quanto pareva ormai era fatta, lui aveva un cognato mercenario di nome Andrea, e forse un giorno si sarebbero incontrati sullo stesso campo, magari l’uno contro l’altro.
    Il sergente Umberto Sgarri dei provinciali del Middenland scese le scale di legno con passi misurati. Nella locanda un gruppo eterogeneo di avventurieri consumava abbondanti libagioni. C’erano sei mercenari tileani che giocavano allegramente d’azzardo, un nano sventratore stava costruendo con metodo una sbronza che prometteva di essere storica, mentre un prete sigmarita lo osservava un poco interdetto. Due veterani della guardia teutogena stavano seduti in disparte, forse messi a disagio da tutta quella soldataglia di ventura. Marta cinse Sgarri alla vita e gli mormorò poche parole all’orecchio. Il tileano si pentì amaramente di essere sceso dalla camera e prese la cameriera per mano, intenzionato a rimediare.
    Fra le lenzuola le parlò di Annalisa e del matrimonio. Marta era un’ottima ascoltatrice ed era piena di buonsenso. Con un sorriso gli consigliò di recarsi quanto prima a casa per conoscere il cognato, ormai non poteva fare nulla per impedire il matrimonio, tanto valeva fare buon viso a cattivo gioco.
    Dopo che Marta si fu congedata con un bacio, Umberto rimase in silenzio a fissare il soffitto della stanza, invisibile nelle tenebre. Non chiuse occhio per tutta la notte.

    Sgarri si alzò di scatto e si spruzzò il viso con l’acqua gelida del catino. Era il momento di partire. Indossò la cotta di maglia sotto il giubbotto dei lupi, un pesante mantello ed il basco prima di calzare gli stivali nuovi. Aveva preparato un piccolo zaino di tela, nel quale aveva riposto una camicia ed alcuni calzettoni di ricambio, oltre alle vettovaglie e ad una coperta di lana ripiegata accuratamente. Normalmente i soldati di fanteria portavano la coperta arrotolata ed agganciata allo zaino, ma le truppe abituate a muovere nella foresta preferivano rinunciare ad un po’ di spazio nello zaino per evitare che la coperta si impigliasse tra i rami bassi. Il tileano si armò ed agganciò lo scudo allo zaino. L’immagine che lo specchio gli rimandò non fu quella del guerriero che si aspettava, ma più quella di un vagabondo.
    Il sergente grugnì e si risolse a scendere nella locanda, dove Hanna lo aspettava con le provviste da mettere nello zaino e le borracce, quella grande dell’acqua e quella più discreta del “coraggio liquido”.
    Il tileano ringraziò con un cenno del capo e cominciò il giro delle stanze per inquadrare il suo piccolo drappello. Orazio Swartz fu il primo a scendere, impeccabile come al solito nella sua armatura pesante, l’imponente figura che differiva dal solito solo per la bisaccia che gli pendeva dal fianco. Uno alla volta i tileani si equipaggiarono e si schierarono nella locanda, ridendo dei postumi della serata.
    Furio Marchesi, Federico Zampilli, Ernesto Occhini, Filippo Arnesi e Domenico Guarini sorrisero al sergente che li avrebbe resi ricchi. Fritz e Ghunter apparvero dalla porta esterna, già perfettamente equipaggiati e, non prima di aver scoccato un’occhiata più che ostile al prete sigmarita, si schierarono senza dire una parola.
    Sgarri dovette farsi aiutare da Orazio per svegliare Igor, le cui prime parole furono per chiedere altra birra. Alla fine il nano indossò i suoi calzoni e si equipaggiò con una bisaccia, due asce e due teste d’ascia che portava incatenate a bracciali di cuoio ed avvolte attorno al corpo. Dal retro apparve uno spettrale Harry Borgan, armato e vestito come Sgarri, aveva il volto scavato e sfregiato, mentre gli occhi esprimevano una tristezza infinita. Nel complesso sembrava un corpo vuoto. Il sergente gli rivolse un cenno d’intesa al quale lui non rispose.
    -Dov’è il “lungo”?- Domandò Sgarri che non aveva più visto il mercenario dalla sera precedente.
    I tileani si strinsero nelle spalle dicendo che Orlando era scomparso a metà serata assieme ad una ragazza. Fu in quel momento che Hanna bestemmiò sonoramente; l’incasso che teneva nel forziere sotto il bancone era scomparso. I mercenari si guardarono e scossero la testa. Non c’era bisogno di dire altro, uno di loro mancava all’appello proprio la mattina della partenza per una pericolosa missione e la notte stessa erano scomparse almeno ottanta corone, senza contare quelle che il tileano aveva vinto al gioco. Non serviva un inquisitore per trarre conclusioni verosimili.
    -Vado a prendere quel bastardo- Ringhiò Orazio, ma Sgarri lo trattenne.
    -A quest’ora sarà ad Altdorf, non lo prenderai mai-
    Il prete annuì contrariato. La missione era iniziata nel peggior modo possibile e Sgarri era già di cattivo umore. –Muoviamoci- Ringhiò guidando il gruppo fuori dal “Lupo” e poi lungo le strade di Middenheim, fino alla foresta.

    Il sergente Sgarri bestemmiò sonoramente. Avevano battuto la foresta attorno al punto in cui i Lupi erano stati distrutti per tre settimane, ma tutto quello che avevano ottenuto era di essere aggrediti una decina di volte dagli uominibestia, rimediando qualche ferita. Non avevano trovato tracce di insediamenti nemici e la tensione all’interno della squadra era palpabile. I mercenari cominciavano a dubitare di essere pagati adeguatamente per lo sforzo, mentre l’umore di Sgarri rasentava il minimo storico anche a causa degli stivali nuovi che, a forza di marciare, gli avevano fatto venire le vesciche ai piedi.
    La foresta innevata era un terreno faticoso e difficile, reso ancor più temibile dal freddo intenso. Come se non bastasse le provviste erano finite il giorno precedente.
    Il drappello procedeva sconsolato, seguendo le tracce di sei gor. Fu Fritz a rompere il silenzio –è evidente che il grande Ulrich non vuole aiutarci, senza dubbio per via dell’eretico che ci accompagna-
    Swartz rispose con un grugnito, era dalla partenza che i due si beccavano senza sosta, cosa che contribuiva a rendere nervosi i compagni. –Dacci un taglio lupacchiotto-
    Il teutogeno strinse il martello da guerra, ma non lo estrasse dall’alloggiamento nella cintura, per quanto odiasse il prete sigmarita, non si sarebbe mai permesso di creare disordini in presenza di un sottufficiale.
    Harry Borgan non aveva aperto bocca dal giorno della partenza e perfino Igor si era fatto più cupo. Furio Marchesi si accostò al sergente. –Dobbiamo tornare indietro Sgarri, qui non abbiamo possibilità, la pista potrebbe continuare per giorni e noi siamo senza cibo. Ora voglio solo che ci paghiate e che ce ne torniamo a casa-
    Umberto non intendeva rinunciare alla caccia, ma non sapeva proprio cosa rispondere al mercenario, del resto non poteva dargli tutti i torti. Stava ancora meditando sulla risposta da dare quando il drappello entrò in una strettoia tra due alte rocce che bloccavano il passo per alcune decine di metri. Proprio mentre si trovavano a metà strada Sgarri sentì un violento colpo alla schiena. Il tileano boccheggiò e cadde in ginocchio, un metro di giavellotto che gli spuntava dalla schiena. Mentre il sergente cadeva in avanti, con il viso nella neve, i mercenari scattarono come molle. Marchesi schivò di misura un secondo giavellotto mentre gettava a terra lo zaino ed estraeva lo spadone. Una decina di gor balzò dall’alto delle rocce, armata di asce e roncole. Furio Marchesi decapitò il primo nemico con spietata efficienza, mentre Orazio, che non aveva fatto a tempo a liberare il martello dalla catena di sostegno, afferrava un avversario al volo e lo scagliava contro la parete rocciosa dall’altro lato della gola. Igor parò abilmente i colpi di un assalitore mulinando l’ascia che reggeva nella destra e rispose con l’altra arma, uccidendo l’avversario. Un gor bloccò Zampilli alle spalle e tentò di sgozzarlo, ma la daga di Sgarri gli si piantò profondamente nella spalla. Il pazzo ruotò su se stesso e decapitò il nemico, quindi si volse a guardare il sergente che, imprecando, si liberava dello zaino e dello scudo che aveva fermato il giavellotto. In pochi istanti il drappello si liberò dei nemici e Fritz si mosse verso l’uscita della gola, che dava su un’ampia radura. –Grande Ulrich!- Esclamò.
    Sgarri lo raggiunse zoppicando e sgranò gli occhi –Maledetta guerra!-
     
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    CITAZIONE (Dahu @ 6/6/2015, 19:59) 
    Orazio assunse un’incongrua aria innocente. –Beh, non è mica colpa mia se qui basta fare due domande e tutti ti danno del “baciamartelli”, “lodaimperatori”, “eretico” e solo Sigmar sa cos’altro! Io sono una persona pacifica e tollerante verso tutte le religioni, sono questi eretici bastardi senza dio che mi hanno provocato!-

    Sono svolato ahah
    Bello mi è piaciuto e al suono di "maledetta guerra" prevedo un altro paio di stivali che se ne va :D
     
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68 replies since 5/10/2014, 12:26   1679 views
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